Il giorno dopo la vittoria dell’Inter sul Bologna, contro un avversario solido e ben sistemato in difesa, considerando i limiti strutturali della rosa e l’enorme difficoltà del 2016, posso dire di aver finalmente rivisto una buona Inter. Naturalmente c’è sempre chi rifiuta di contestualizzare il momento e bolla ogni singolo successo come mediocre e privo di importanza. Altri che lo caricano all’eccesso per generare nuove speranze nell’ambiente, in vista della gara di Roma. Sono naturalmente contento di aver visto l’Inter battere il Bologna, convinto com’ero che sarebbe stata durissima e un pareggio fosse nell’aria. Fino al 72° i fatti si stavano effettivamente mettendo in questo modo. In generale però vedere Perisic così vivo da settimane, centrato nella gara, pieno di personalità ma anche la squadra tutta, volenterosa e dedita all’applicazione di ciò che era stato preparato in settimana è quasi sorprendente.

Un maggior ricorso al pressing, la riduzione degli errori in appoggio (non eliminati come dimostra il gol preso nel finale e altre sbavature nel corso della partita) e una convinzione durata tutta la gara, eccezion fatta per i primi venti minuti del secondo tempo. Poi la vittoria, cercata, meritata. Così mi chiedo cosa possa essere accaduto tra fine dicembre e fine febbraio. Non è una domanda banale e non è spiegabile unicamente con un calo di forma o la fine della fortuna. Lo strapiombo tecnico e fisico nel quale la squadra è caduta, viene da tante vicende, come lo stravagante approccio alla gara con la Lazio, la litigata a fine partita, forse il ritiro a Doha, un numero di impressionante di svarioni difensivi, partite clamorosamente regalate al 90°, il nervosismo che ha toccato Mancini ma anche le voci costanti sulla società e sulla dismissione di Thohir, i giornali che hanno spinto e insistono tutt’ora nel sottolineare il debito, i tifosi infuriati col tecnico e una parte sempre più larga a chiederne l’esonero.

Quello che è successo non può essere riassumibile con una sola spiegazione, per questo, parlando di Inter da diverso tempo, rifiuto le semplificazioni. Quello che vediamo dall’esterno è una squadra ancora inaffidabile ma è il risultato di un lungo periodo difficilmente comprensibile, perché la storia è più facile spiegarla dopo che durante. Quel “durante” è una società che è passata da un allenatore all’altro, un presidente all’altro, un dirigente all’altro. In meno di sei anni è successo di tutto ma le spiegazioni sembrano appoggiate a delle spiegazioni ordinarie, forse perché rassicuranti. Moratti ha ceduto la maggioranza non perché fosse stanco ma impossibilitato a proseguire, mantenendo l’Inter competitiva, con i costi che aumentavano e la moltiplicazione di un debito che senza partner era inarginabile. Arrivato Thohir molti, troppi hanno confidato si muovesse da sceicco e invece la sua posizione del tutto manageriale, ha indebolito il suo iniziale fascino e mortificato i sogni di grandezza immediata.

Nel frattempo veniva esposto il mezzo miliardo di debito come se facesse parte di una realtà parallela. Oggi va detto che se l’Inter, come il Milan, in questi anni non ha trovato partner credibili lo deve anche all’assenza di uno stadio di proprietà, oltre che agli stessi debiti, senza contare il prodotto che offre la serie A. Non si conoscono nel dettaglio le questioni societarie ma è evidente che la situazione sia ancora squilibrata e, fino a quando non verrà trovato una stabilità politica tra le vecchia e la nuova reggenza, l’Inter sarà ancora tormentata. Quella che vedo attualmente, a prescindere dal risultato dell’Olimpico, è un Inter che ha le basi per poter diventare una squadra competitiva. Non da scudetto forse ma in grado, per quanto faticosamente, di portare a compimento un progetto tecnico.

Amala

Sezione: Editoriale / Data: Lun 14 marzo 2016 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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