Sta tutto nel titolo dell’articolo il senso di una partita che è anche la storia liofilizzata dell’Inter recente.
Un match dominato per un’ora, rimesso in discussione per quel tipo di superficialità congenita di una squadra che quest’anno si è spesso rilassata in corso d’opera ingiustificatamente. 
Il primo tempo mostra immediatamente un Inter predisposta, concentrata e risoluta, contro un Frosinone dal piano partita fragile e poco coraggioso. 
La squadra pratica il possesso palla e trova il gol con un’azione che parte dalla difesa, passa dai piedi di D’Ambrosio il quale crossa in area e trova la testa di Nainggolan smarcato e libero di girare a rete. 
L’autostima sale ulteriormente ma da un calcio d’angolo Paganini sfiora il pareggio con un colpo di testa che vola di poco sopra la traversa. È l’unica disattenzione che la squadra sembra recepire come lezione. Il raddoppio arriva a su rigore, dopo un calcio d’angolo che registra una trattenuta di Chibsah a danni di Skriniar.
Il fatto meno banale di una serata apparentemente tranquilla, viene dall’incaricato dal dischetto: Ivan Perisic e non Mauro Icardi. Un’altra “lezione di vita” all’ex capitano, retrocesso anche in questo o un semplice accordo come lo stesso Spalletti ha poi raccontato: “Si sono messi d'accordo, si sono parlati e sistemati così. 'Lo batti te perché tu mi sembri voglioso di segnare'", considerando che quando si vince la malizia è un cliente indesiderato, preferisco assecondare ancora Spalletti che parla di amicizia, disponibilità e collaborazione tra i due.
Nel secondo tempo la partita entra in controllo e il Frosinone da solo non è in grado di opporre una resistenza credibile. Ci pensa l’Inter allora, facendo accademia e impigrendosi su un possesso palla noioso che distrae persino chi lo pratica e così i padroni di casa ringraziano. Borja Valero perde palla nella propria area, Ciofani tocca al limite per Cassata, Handanovic si butta ma non c’è niente da fare. Et voila, la partita è riaperta. 
L’Inter ritenta il possesso palla e Icardi in ripartenza nell’inedita veste di suggeritore, cerca Nainggolan ma non lo trova, tuttavia il match è cambiato e i frusinati capiscono di potercela fare. Si fa male Borja Valero ed entra Gagliardini, perdendo di fatto l’unico costruttore di gioco, in più esce Perisic, impalpabile anche questa sera ma sempre titolare, ed entra Keita. 
Il gioco di Spalletti prevede sempre e solo possesso, sovrapposizioni e coinvolgimento di tutti i reparti ma quasi mai le verticalizzazioni, le conclusioni e la rinuncia al 4-2-3-1.
La banalità del gioco mortifica anche qualità inespresse e rende l’Inter una squadra solo fisica che vive di accelerazioni, intuizioni di Politano e percussioni centrali, che rasentano più lo sfondamento rugbistico.
Nainggolan fa tante cose, anche troppe, alcune perfette, al di là del gol, come le chiusure e quella personalità che mette in mezzo al campo, altre naif come certe conclusioni fuori decine di metri. Nel finale arriva il gol di Vecino, grazie al suo stesso break e ad una palla che gli viene restituita da Icardi in mezzo all’area. 
Nel complesso la vittoria contro la penultima in classifica era un dovere, anche se questa veniva da due vittorie consecutive. Ora arrivano tre partite da affrontare con l’atteggiamento di una squadra consapevole, perché la Roma a San Siro, tra l’altro in ripresa e la Juventus, per quanto già scudettata, sono avversari poco leggibili, specie se li incontri senza il centrocampista di riferimento e forse anche Borja Valero, sostituto dello stesso Brozovic. Il calendario delle altre è molto più facile e la classifica può complicarsi in un amen ma intanto è già qualcosa avere una classifica che mostra un vantaggio tanto considerevole, oltre ad un gruppo concentrato sul presente, invece che su altri versanti. 
È il minimo ma di questi tempi vale la pena accontentarsi. Aumenta il numero delle settimane serene e non sarebbe male farci l’abitudine.
Amala.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 15 aprile 2019 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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