Per diventare direttore sportivo certificato Figc serve frequentare un corso di 96 ore distribuito in 6 settimane, non necessariamente consecutive. Nulla di particolarmente complicato, dunque, per chi vuole intraprendere una carriera a dir poco affascinante nel mondo del calcio. Trattare l’acquisto o la cessione di giocatori, discutere con colleghi di società magari più blasonate, essere sempre sotto i riflettori della stampa e cercare punti d’incontro sugli stipendi dei calciatori. C’è chi farebbe di tutto per svolgere questa professione, ben più di un corso di 6 settimane. Occhio però: se non sei direttore sportivo di un club ricco, questo ruolo rischia di ritorcersi contro. I migliori, infatti, sanno raggiungere risultati anche in situazioni finanziariamente critiche. Il calcio italiano è pieno zeppo di questi esempi, anche se a onor del vero prima o poi tutti incappano nell’errore di valutazione. È quando il denaro nelle casse societarie latita che al diesse viene chiesto il quid in più per far quadrare i conti e costruire una squadra di alto livello, a prescindere dalla categoria. Chi non ce la fa rischia il licenziamento, inutile nasconderlo. In tempi di crisi non si guarda in faccia a nessuno, è la legge dell’economia, compresa quella calcistica.

All’Inter, ufficialmente, il direttore sportivo è Piero Ausilio, che però agisce affiancato dal direttore dell’area tecnica Marco Branca. Piero e Marco, come li ha nominato il giorno della sua presentazione Antonio Cassano, da fine 2010 a oggi si ritrovano protagonisti di un periodo storico negativo per questa posizione professionale in ambito nerazzurro. Sin dai tempi di Italo Allodi, infatti, l’Inter è stata sempre una società alto-spendente, che sul mercato ha fatto sovente la voce grossa ottenendo tanti riconoscimenti, a parole, per i grandi campioni arruolati. Ma dopo l’addio di Mourinho e del suo contratto da 11 milioni netti a stagione, la musica è cambiata. La crisi globale, che non ha risparmiato l’Italia, si è riversata anche nelle casse dei nostri club imponendo al nostro movimento un brusco stop, tale da vestirgli addosso l’etichetta di calcio di secondo piano. Inghilterra, Spagna e Germania ci hanno superato sia per potere finanziario sia per fascino e questo binomio ha impoverito la nostra Serie a, privandola di grandi giocatori e costringendola a reinventarsi.

Branca e Ausilio, da ‘ambasciatori’ di Mourinho durante la campagna acquisti, si sono ritrovati a dover puntare sulla creatività per alleggerire il rosso in bilancio. Tante, forse troppe le scommesse effettuate negli ultimi due anni. Alcune hanno portato benefici, altre decisamente no. Molte, anche ingenerose, le critiche ai loro danni, come se fossero gli unici colpevoli dei fallimenti di una squadra ancora alla ricerca di una nuova dimensione dopo l’abbuffata del 2010. Oggi per fortuna i risultati sono confortanti, il progetto di risalire la china dopo aver toccato il fondo è in pieno svolgimento, nonostante qualche scivolone più che prevedibile. Ma anche in società qualcosa è cambiato. Nella sua biografia, Van der Meyde, ex ala nerazzurra dei primi anni 2000, ha rivelato che il presidente Moratti sganciava 50 mila euro, oltre al ricco stipendio, nelle tasche dei suoi giocatori a ogni vittoria. Roba da non credere. Oggi risparmiare anche 50 mila euro diventa un obbligo, figuriamoci parte se non tutto lo stipendio di alcuni dei calciatori super pagati. La nostra dirigenza si è trovata di fronte a un bivio: cambiare atteggiamento, dimenticando i tempi delle vacche grasse, o lasciarsi andare nel profondo rosso di un bilancio che costerebbe il fallimento a qualunque azienda extra-calcistica.

Bivio virtuale, ovviamente, perché la scelta è sempre stata obbligata. Tagliare a tutti i costi, soprattutto il monte ingaggi. Missione quasi compiuta, se è vero che l’ultimo bilancio ha registrato un -40% circa a questa voce. Ma per farcela, gli ex ambasciatori di Mourinho hanno dovuto indossare la maschera degli stronzi, come mai lo erano stati, e rendersi antipatici a parte dei tifosi così come ad alcuni giocatori in orbita nerazzurra. Un po’ come oggi può essere considerato un ispettore dell’Agenzia delle Entrate. Soprassedendo sul rapporto conflittuale con una buona fetta di tifosi (molti si sono ricreduti), a influire sull’indice di gradimento di Piero e Marco, e dell’Inter stessa, sono stati gli atteggiamenti autoritari nei confronti di alcuni giocatori sia alla voce ingaggio sia a quella riscatto (dei prestiti). Qualche esempio: Lucio, Forlan, Chivu, Julio Cesar, Zarate, Pazzini, Poli e oggi Sneijder. Basta con la pazienza o le ragioni del cuore, nel contesto attuale conta solo il bilancio. La sopravvivenza del club innanzitutto, il sentimentalismo morattiano è ormai demodé e in barba al contorno a vincere è sempre la ragion di stato.

Una sterzata importante in quest’ottica l’ha data l’arrivo di Fassone, che dietro un sorriso ‘tranquillizzante’ cela un carattere di ferro, da sergente se serve. Un personaggio chiamato per restituire dignità alle finanze nerazzurre in modo costruttivo ma anche, purtroppo, distruttivo. Quaresma è stato l’ultimo suicidio economico di una società che ha ridotto ai minimi termini la pazienza verso chi costa tanto e non risponde felicemente alle attese. E Sneijder (che, a onor del vero, a Parma avrebbe fatto comodo) si rispecchia fedelmente in questo profilo. La dirigenza dell’Inter sta vestendo i panni del lupo cattivo, è sotto gli occhi di tutti: mancanza di riconoscenza, rinuncia ad accordi verbali, decurtazioni sensibili di stipendi nonostante carta continui a cantare a squarciagola. Eticamente sarà anche impopolare, ma la ragion di stato machiavelliana impone un restyling del modus operandi. Non è uno sfizio, è una necessità. E poco importa se Piero e Marco avranno sensi di colpa o crisi di coscienza prima di andare a dormire, fa parte del lavoro di direttore sportivo, quello che tanti amano ma che in pochi, di questi tempi, sarebbero in grado di svolgere.

Certo, dispiace che l’Inter abbia assunto questo atteggiamento da squalo, visto che Moratti non lo è mai stato nei confronti dei suoi calciatori (piuttosto con gli allenatori…). La rivelazione di Van der Meyde lo testimonia. Ma il presidente ha ormai metabolizzato il cambio di rotta, la stessa Saras ha navigato a lungo in acque agitate e i numeri del bilancio di Fc Internazionale non sono opinabili. Per questo oggi gli tocca accettare il compromesso della scommessa a basso costo rinunciando ai grandi nomi. Così come deve suo malgrado maturare la consapevolezza che la società di Corso Vittorio Emanuele ha bisogno di riporre in frigo la carota e andare giù di bastone per il proprio bene. Anche a costo di attirare improperi, ramanzine e paternali gratuite dei moralisti che se devono puntare il dito impiegano un nano secondo per riempirsi la bocca. E con questo lungi da me prendere le difese di chi chiede a un suo dipendente di ridursi lo stipendio e lo obbliga a una fase di riflessione per ottenere la risposta giusta.

Carta canta, ripeto. Ma se il fine giustifica i mezzi, e scomodo ancora Machiavelli, è inutile girarci intorno: certe cifre non sono più giustificabili, soprattutto per chi finora non ha reso secondo le aspettative a tal punto da fare terra brucia intorno a sé. Tra l’altro, mi preme sottolineare la svolta epocale a livello di comunicazione: Marco Branca, parlando del caso Sneijder, ha fatto candidamente il punto della situazione, provvedimento ‘tecnico’ compreso (ma credo che sotto ci sia dell’altro, non ancora pubblico). In passato certe notizie fuggivano da appiano Gentile e si diffondevano senza che la società riuscisse a gestirle. Evidentemente il nuovo atteggiamento, oltre a pazienza e riconoscenza, non richiede neanche giri di parole.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 28 novembre 2012 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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