L’Inter gioca una partita discreta ma priva di luce nel gioco, con diverse occasioni (specie nella prima parte) ma senza un gioco entusiasmante. La giustificazione viene dall’uscita di Brozovic dopo soli 20 minuti di gara ma questo invita a riflettere, ancora una volta, sull’ assenza di alternative in un ruolo determinante nella composizione dei temi di gioco.
Lo 0-0 con l’Atalanta ha mostrato implacabilmente la forza e il potenziale ma anche i limiti di una squadra che ha giocatori intermittenti, per motivazioni che sembrano sfuggire anche alle logiche dello spogliatoio, di cui si è parlato fino allo sfinimento in questi due mesi.
Il pari in casa non è mai un buon risultato, nemmeno se arriva con una squadra in forma come l’Atalanta che gioca per andare in Champions e potrebbe persino riuscirci, tuttavia la sconfitta del Milan con la Juventus e il pari interno della Lazio, con la sola sorprendente vittoria della Roma in casa della Samp, fa sembrare questo come un buon punto.
Può essere ma l’Inter si imborghesisce facilmente e si nota la differenza quando gioca con un piglio autoritario e aggressivo e quando (come oggi) è professionale e gli manca qualcosa in termini di personalità e variazioni del gioco per mettere sotto un avversario tosto come l’Atalanta. Ciò nonostante i tre punti avrebbero potuto arrivare ma sono state fallite diverse occasioni (Vecino, Icardi, Nainggolan, Politano) e nel secondo tempo la squadra si è spenta troppo a lungo per risorgere nel finale, quando i bergamaschi non ne avevano più.
In fase di presentazione più di qualcuno aveva indicato nella sfida a San Siro un match ball da sfruttare per la zona Champions ma, esattamente come con la Lazio, se anche due o tre giocatori non sono allo steso livello degli altri, è molto più complicato vincere una partita con avversari tanto robusti.
Questa volta, già plurivincitore in altre tappe della stagione, come giocatore più opaco in campo, si iscrive Perisic, per assenza e impalpabilità, unendosi a Gagliardini, il quale dopo la splendida partita con il Genoa e la doppietta realizzata, è tornato a livelli meno entusiasmanti. Autore tra l’altro di un errore a centrocampo che avrebbe potuto costare caro se Papu Gomez fosse arrivato con mezzo secondo di anticipo davanti alla porta. Nel complesso l’Inter ha giocato benino una partita che, per vincere, doveva essere giocata benissimo. Spalletti ha parlato di un marchio di fabbrica dei giocatori, quell’incapacità di fare cose semplici ma era soddisfatto per l’impegno. Mi sento di aggiungere che il giro palla è destinato ad essere lento e prevedibile fino al termine della stagione. Ogni centrocampista gioca il pallone addormentandolo e rinunciando quasi filosoficamente a smistare con un solo tocco, qualche compagno detta il passaggio ma si sente la consapevolezza di avere mezzali e centrali che verticalizzano con fatica.
La colpa della società resta quella di non aver fatto un solo acquisto in questo reparto a gennaio e non aver lanciato nemmeno un giovane, come invece hanno fatto praticamente tutte le rivali, una per gentile omaggio nerazzurro.
Il resto è dedicato alla querelle, persino tra tifosi, sulla vicenda Icardi, verso il quale la curva è tornata a spendersi con cori offensivi e fischi mentre il resto dello stadio fischiava quel tipo di invettiva incoraggiando, pur senza troppa enfasi, l’ex capitano.
E’ un tipo di situazione surreale che, per altri motivi, in passato si era già ripetuta. La curva va sempre al netto mai al lordo e se prende posizione sposa una sua coerenza, anche se come in questo caso è masochista e figlia di una ricostruzione parziale, oltre che di una polemica che parte da molto più lontano. Il tifo nerazzurro in generale è rimasto male per tutto quello che è successo ma è più interessato a vedere l’Inter vincere che a gazzarre infantili come quelle che hanno riguardato troppi tesserati nerazzurri, tra cui l’attaccante.
Spalletti ha mostrato anche nel dopo gara di Genova di aver dovuto gestire la situazione seguendo indicazioni societarie, a costo di fare un’inversione a U.
La pratica del lamento, dei messaggi indiretti verso l’attaccante e della diminutio “non è decisivo, non è Messi o Ronaldo” ha fatto più rima con ossessione che con saggezza, specie perché Icardi da quando è tornato in gruppo, non ha dato alcun pretesto e, se anche fosse accaduto qualcosa, rivelarne l’irritazione costantemente abbassa il prezzo di un valore societario come Icardi, il quale da 120 ipotetici milioni ora ne vale più o meno la metà.
Il conflitto tra Icardi e i croati è stato invece gestito male per ben due anni, tenuto sotto controllo ma mai risolto. Così Beppe Marotta oggi ha messo fine, almeno dal punto di vista formale, alla questione e Spalletti ha completamente cambiato versione di cose che aveva convintamente asserito poche ore prima. Icardi dunque da non essenziale è diventato determinante, ha cambiato il senso del paragone con i due giocatori più forti del mondo: “Se messo da solo Icardi non vale niente, se ha la squadra dietro vale più di Messi e Ronaldo messi insieme“.
Sono cose che una società come l’Inter, se l’anno prossimo vuole tornare a vincere deve valutare con attenzione. Svalutare Icardi e cederlo, magari a una diretta concorrente a metà del prezzo che valeva fino a febbraio, può darsi che faccia felici i tifosi vendicativi ma non ha senso.
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Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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