C’era una volta un reame dove tanti ragazzi giocavano felici rincorrendo un pallone, vestiti di nerazzurro, orgogliosi e fieri, padroni dell’Italia, dell’Europa e del Mondo. Poi il sovrano, che tra alti e bassi aveva governato portando comunque il reame a splendidi traguardi, compì una serie di operazioni sbagliate riducendolo ad una provincia qualsiasi. Fu costretto ad abdicare, cedendo lo scettro ad un signore che veniva da lontano e che operò in maniera estremamente abile sulle casse del tesoro ma, tecnicamente, compì un disastro, attorniandosi di circensi ed altre figure non conciliabili col calcio, lo sport nazionale. Fintanto che, compresa l’impossibilità di continuare a governare con pochi soldi e senza un futuro, il reggente, una sorta di Denethor indonesiano, decise di cedere a sua volta il reame ad un magnate proveniente da oriente, ricchissimo e potentissimo.
Veniamo ai giorni nostri. È chiaro, non fa piacere vedere una squadra che cinque anni fa era sul tetto del mondo ridotta ad una armata Brancaleone qualsiasi; però, purtroppo, capita. Capita per una serie di motivi che mi piacerebbe condividere. In primo luogo, il vero peccato originale che trasforma l’attuale stagione in un buco nero dal quale ogni tanto riusciamo ad intravvedere uno spiraglio di luce venendo immediatamente risucchiati nelle tenebre più profonde, inutile starci a girare intorno o fare equilibrismi diplomatici senza senso, è la pessima, dilettantesca, incomprensibile gestione estiva. Dove Suning compie due errori, in questo caso meglio orrori, gravi. Il primo; affidare all’ex patron ed al suo braccio destro - l’uomo degli abbonamenti ora defenestrato con un cospicuo conto in banca e senza aver prodotto ciò che gli si chiedeva (ripeto che nello stato in cui versava l’Inter un incremento di fatturato del 14% circa, punto più punto meno, sarei stato capace di farlo anch’io dal basso della mia laurea in marketing, figuriamoci quelli bravi davvero) - le scelte tecniche societarie, tralasciando per carità cristiana il pietoso balletto estivo del Mancini va Mancini resta. Il secondo; aver consentito a Kia Joorabchian, un procuratore con potenti agganci in oriente ma lontano migliaia di chilometri dai Mendes o dai Raiola in un contesto europeo, che poi è quello al quale l’Inter deve necessariamente rivolgere le proprie attenzioni, di svolgere un mercato assolutamente inutile per quelle che erano le esigenze della squadra. Sorvolando sui meri interessi personali. Del resto, lo abbiamo detto più volte, Zhang e compagnia erano dei neofiti in un mondo lontano, non solo geograficamente parlando. Ecco perché non mi sento di scaricare colpe e responsabilità sulla nuova proprietà; che ha, pur sbagliando, dimostrato di voler investire davvero nell’Inter, non tanto per dire.
Il problema reale che Suning deve affrontare, adesso, è scegliere uno staff di veri professionisti a cui affidarsi, in cui credere; possibilmente escludendo dai piani alti della Società personaggi che col calcio nostrano hanno ben poco a che vedere e rimettendo in riga chi forse si sente appagato e col sedere ben piantato sulla cadrega (seggiola in milanese). Pistolotto societario a parte - continuo a confidare non dico ciecamente ma quasi in Suning - ciò che balza immediatamente all’occhio, parlando di Inter, sono le débacle continue della squadra.
Un simile accrocchio di prestazioni tanto insufficienti ed inadeguate non lo ricordavo dalla metà degli anni ‘70, con interpreti decisamente più scarsi di quelli attuali, trattati purtroppo come dei presunti campioni quando, visti all’opera, possono tutt’al più essere etichettati tra lo scarso ed il mediocre, con qualche rara eccezione tendente al buono. Peccato che gli ingaggi di lor signori sconfinino nell’assurdo, dipingendo la rosa attuale come potenzialmente all’avanguardia di un campionato nostrano di basso spessore. Perché ormai credo che chiunque, qualunque tifoso nerazzurro raziocinante, abbia compreso che gli allenatori, in questo marasma, c’entrano poco o nulla; certo, poi può capitare che il Pioli di turno non si capisce perché continui ad insistere nello schierare Kondogbia dall’inizio, autore di prestazioni imbarazzanti, o Ranocchia, numi dell’olimpo hai pure Andreolli, peggio di quello che stanno combinando i centrali attuali non credo possa fare. Per non parlare dell’ostracismo conclamato verso Gabriel Barbosa, nel caso ci fosse altro prego comunicarlo altrimenti davvero si scade nel ridicolo pesante vista l’enfasi della presentazione – e per cortesia la favoletta del non è pronto la racconterei alla scuola materna, siamo tutti adulti, vaccinati, capaci di intendere e di volere -. Perciò, bluff veri o presunti a parte, è necessario che si dia una sterzata all’ambiente; quello prettamente calcistico, beninteso. Che, dal mio punto di vista, il primo dei grandi problemi interni alla squadra è lo scazzo generale, la mancanza di concentrazione derivante proprio da quello che dicevamo poco sopra; quando una truppa di calciatori di medio livello capisce che può permettersi la qualunque perché tanto, alla fine, sarà l’allenatore di turno a pagare, allora sei arrivato al momento di un bel repulisti generale.
Ricordo benissimo gli sfoghi manciniani, ma il Mancio gode di una nutrita schiera di detrattori, pertanto il mancato approdo alla Champions della scorsa stagione è da ascriversi completamente all’incapacità del viziato tecnico jesino e non al pressappochismo di chi andava in campo a raccogliere margherite o guardare farfalle quando, con un minimo di concentrazione in più (o fa fatica ricordare 5/6 partite buttate al vento tra il minuto 89 ed il minuto 93?), forse qualcosa di decente si sarebbe potuto iniziare a costruire. Vabbè, passiamo oltre. Arriva De Boer, pupillo di Thohir, non si capisce perché ma va bene così. L’olandese, a parte perdere sette delle quattordici partite giocate, di cui due con squadre di rango, le altre lasciamo stare, mette subito in chiaro il suo modo di lavorare: sacrificio, sacrificio, sacrificio. In soldoni c’era da correre e c’erano dettami da rispettare in campo. E ancora c’erano regole non scritte che andavano seguite. Chi non lo faceva era fuori. Il cocktail che Frank voleva servire, per quanto potesse essere indigesto ai calciatori, era di buona fattura. Ma, cattivone anche lui, ha urtato la sensibilità di molti campioni, convincendo la nuova proprietà ad allontanarlo. Però…la maggior parte degli interpreti di questo gruppo era già riuscita a defenestrare due allenatori in pochi mesi; e non due qualunque. Roba da guinness dei primati. Pioli si è appena insediato nel gruppo, accolto da sorrisi e rassicurazioni. Promettiamo, niente più musi lunghi ad Appiano. Poi seguono, nell’ordine, la prestazione fantasmagorica in Israele, quella casalinga con la Fiorentina, la trasferta campana, utile per farsi un giretto a Mergellina e magari, di nascosto, gustare un trancio di pizza. Sorrisi e rassicurazioni sono già un lontano ricordo.
Un consiglio, se posso permettermi, Mister; la smetta col 4231, col 433 o con altri moduli astrusi che non si sposano con la pochezza che questa squadra sta dimostrando. L’Inter è costruita non male, malissimo; con un centrocampo che non filtra, ma proprio zero, ed una difesa che spesso si trova ad essere uno contro uno quando non in inferiorità numerica per le ripartenze avversarie grazie ai palloni sanguinosi persi dai pessimi piedi che animano la nostra zona nevralgica del campo. Magari un semplice e scolastico 442 potrebbe giovare. Magari… C’era una volta una squadra; che oggi non esiste più. Aspettando un mercato serio, dove in molti salutino indistintamente e senza nessun rimpianto. Per far posto a che ha davvero voglia di giocare. Per adesso #soloperlamaglia. Continuate ad amarla: certi uomini, per fortuna, passeranno. Buona domenica a Voi!
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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