Partenza aggressiva e sofferenza complessiva. Lazio e Inter lottano sin dal fischio d'avvio perché partire forte è nel DNA di due assetti improntati sulla verticalità. La banda di Simone Inzaghi conosce a menadito la rilevanza dell'incontro: lo si capisce dall'avvio, quando la pressione collettiva biancoceleste è così alta da tappare istantaneamente le vie di sfogo dei nerazzurri. Oscurata la linea di passaggio verso Calhanoglu e riaggressione pronta e immediata sui portatori di palla. Sarri l'ha preparata così. L'esordio preparatorio di un confronto da vivere tutto d'un fiato. Non si perde un attimo perché gli scatti laziali sono costanti, anzitutto per prendere le misure alle pedine inzaghiane. Poi anche per aggredire lo sviluppo sfruttando le corsie esterne e l'imprevedibilità centrale. Darmian riposiziona l'attenzione su Zaccagni perché quello è uno dei pericoli più insidiosi e l'apporto ausiliario nei confronti di Bisseck (un po' impacciato in fase di costruzione) è fondamentale.

RITMI ALTI ED ERRORI BANALI. E il primo squillo biancoceleste risiede in qualche flipper tutt'altro che preciso. Casualità nella manovra, alla mezz'ora. La sfida è quasi un'emozione costante e progressiva, che sale piano piano. Spazi che si aprono e l'Inter va a più riprese vicina al vantaggio. Ma Sarri ha l'imprinting delle ripartenze, costruite con raziocinio ma anche impulsività. Zaccagni e Lazzari tentano di scavalcare la linea arretrata nerazzurra con la ripartenza dal basso spesso e volentieri saltata attraverso sprint immediati, senza pensarci due volte. La Lazio costruisce ma distrugge se stessa, quando Marusic appoggia verso Provedel, regalando un portone apertissimo a Lautaro, che colpisce fiutando l'errore banale del difensore biancoceleste. Sfortunata nella dinamica la truppa di Sarri, che aveva premuto sull'acceleratore con costanza assidua, senza trovare la via della rete. Un universo emotivo si realizza nei meandri del primo tempo. Riaggressione istantanea e dinamica ed efficace per attivare le ripartenze, che sono effervescenti su entrambi i lati. Provarci è l'unica via per arrivare alla meta.

COLPIRE NEL MOMENTO PEGGIORE. Sta diventando un mantra: l'Inter sa colpire nel suo momento peggiore. Imprevisti e imprevedibili, pronti a scaldare una gelida serata di dicembre sotto Natale. Il momento d’intersezione è un luogo della sacralità avanzata. Tutto ha un peso. Prima ci sono le tentazioni, quelle restano sempre: il gol è la chiave del loro successo. E lo sarà per sempre. La fame della ripartenza e della capacità di certificare l'allungo nel migliore dei modi. Nel manuale bipartito onde elettriche in tensione e baricentro come misura di pedine scatenate in avanti. E di fronte a loro s'allarga il brullo della collina. Tutto intorno, nei contorni del placido vivere, una consapevolezza che è pura passione, furiosa manifestazione della natura. L'Inter non conosce il significato della terra di mezzo. Vuole divorarsi ogni briciolo di prato verde. Proiezione che è arte quando si collegano le traiettorie dei passaggi. Vuole confrontarsi con le ripartenze ben orchestrate. Thuram colpisce siglando il 2-0 per i nerazzurri dopo un altro horror difensivo commesso dai biancocelesti. Azioni mutevoli e quella melodia cantata dalle tribune: "La capolista se ne va". Ebbene sì, prova ad andarsene. Sicurezze strutturali: altro ostacolo superato con agilità.

Sezione: In Primo Piano / Data: Lun 18 dicembre 2023 alle 08:15
Autore: Niccolò Anfosso
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