Salutate la capolista. Almeno per qualche altro giorno l'Inter ha mantenuto saldamente il primato in solitaria in classifica, superando lo scoglio più insidioso di questo primo scorcio di campionato. La Lazio, al di là del memorabile 3-2 del 20 maggio 2018, in epoca moderna ha spesso e volentieri rotto le uova nel paniere nerazzurro. E anche ieri sera si è presentata al Meazza con l'etichetta di rivale temibile, nonostante fosse reduce da un paio di passi falsi rumorosi. 

Vittoria che vale il punteggio pieno, così come si tratta del quarto clean sheet (appena una rete subita in oltre 450 minuti) anche se per la prima volta, più della solidità difensiva, Antonio Conte deve ringraziare il suo capitano, Samir Handanovic, che nel primo tempo con almeno tre interventi complessi ha tenuto in piedi la baracca celebrando al meglio la 300esima presenza in nerazzurro. Handanovic ma anche Danilo D'Ambrosio, l'altra faccia della copertina di questo incontro. Sulla carta poteva rifiatare, invece è stato riproposto da tornante destro. E si è tolto l'enorme soddisfazione di segnare il gol decisivo con un blitz di pura astuzia alle spalle dell'ingenuo Jony. Il proletariato in paradiso, è il caso di dirlo, perché pur giocando bene a sprazzi, quello che impressiona di questa squadra è la cattiveria agonistica che ognuno dei chiamati in causa mette regolarmente sul rettangolo di gioco. Tant'è che quando la tensione cala te ne accorgi, perché si creano i presupposti per prendere una sberla. 

È un'Inter che piace, che bada al sodo, che non si specchia e pensa sempre al modo migliore per arrivare rapidamente dall'altra parte. Non c'è spazio per i virtuosismi, anche se ogni tanto il pubblico del Meazza può applaudire le iniziative dell'inesauribile Nicolò Barella (il costo del suo cartellino oggi non sembra più un trend topic), la qualità di Stefano Sensi e la serenità con cui Stefan de Vrij affronta, finalmente, il suo passato. Tutti comunque meritano complimenti, perché anche ieri sera contro una Lazio sprecona ma anche troppo naïf, quello che è emerso è l'assenza di veri protagonisti. Conte ha ottenuto ancora il massimo dai suoi giocatori, che guida continuamente neanche avesse un joypad tra le mani. Anche l'inserimento a sorpresa di Cristiano Biraghi ha pagato dividendi, un altro passo verso la concretizzazione del concetto di squadra che non patisce le variazioni dell'indice titolare, la massima ambizione di un allenatore all'inizio di un progetto. 

L'Inter soffre, gestisce, punge quando trova varchi mirando all'estremo pragmatismo, forse il modo migliore per affrontare una Lazio più rodata. Il primo posto è sempre una gradevole constatazione, ma va difeso giorno dopo giorno, sia al Suning Training Centre sia a (ri)partire da sabato prossimo, a Genova contro la Sampdoria. La Juventus vince faticando, il Napoli è già a -6 e motivi per illudersi ce ne sarebbero. L'euforia d'altronde è un sentimento incontrollabile ed è giusto che i tifosi la vivano. Ma siamo ancora a settembre, gli esami sono tanti e frequenti e i nerazzurri stanno acquisendo quell'etichetta di squadra da battere. Non perché è la migliore (la Juve è superiore per esperienza, qualità e lunghezza della rosa), ma perché in questo momento è complicato averne la meglio per chiunque. C'è fiducia e quando questa cresce tutto diventa più facile, anche superare indenni qualche amnesia difensiva di troppo e colpire sul fianco l'avversario al suo primo, grave errore. Roba da squadra solida, che vende sempre cara la pelle, che pensa alla gallina domani invece che all'uovo oggi. Roba da capolista.

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 26 settembre 2019 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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