Quando il suo arrivo in Italia, nello specifico all’Inter che riuscì a strapparlo a suon di milioni quella che si definì una nutrita concorrenza, divenne cosa fatta, di colpo il calciomercato sembrava essere uscito da quella cappa di notizie, voci, indiscrezioni, battutine, per assumere contorni quasi magici. Il suo approdo nel nostro Paese sin da subito suscitò grandissime attese, alimentato suggestioni con un’aurea quasi mistica, creato già una sorta di mito intorno al personaggio. E l’Inter, ai tempi, si adoperò per bene per cavalcare quella che sembrava la tigre giusta per un rilancio anche sul piano dell’immagine. Un brasiliano dal gol facile e dai numeri sopraffini, fresco di medaglia d’oro ai Giochi Olimpici con la Seleçao capace di sfatare il tabù a cinque cerchi, accreditato di un numero difficilmente quantificabile di caterve di reti nelle giovanili del Santos. E presentato con una cerimonia degna di una star hollywoodiana, con stato maggiore interista al gran completo e tifosi già entusiasti.

Insomma, Gabriel Barbosa Almeida arriva in Italia con la sensazione di aver trovato la sua America: subito benvoluto da tutti e arrivato carico di buone intenzioni, fa credere il popolo nerazzurro  di aver trovato un nuovo grande personaggio, uno in cui identificarsi al di là del mero aspetto calcistico, un’icona di una nuova generazione di ‘Interisti dentro’. Ma la realtà, purtroppo, si rivela ben diversa, decisamente più dura: Frank de Boer lo fa debuttare per uno spezzone di partita contro il Bologna, sempre contro il Bologna giocherà la sua prima partita da titolare in Coppa Italia, a Bologna realizzerà la sua unica rete stagionale. Ma in mezzo a questi tre episodi, tanti, tantissimi momenti di buio: Gabigol troppo spesso costretto a guardare le partite dalla panchina, condizione che non cambia nonostante sulla panchina nerazzurra transitino in questa stagione quattro allenatori. Ma da De Boer a Stefano Pioli, passando per le due parentesi di Stefano Vecchi, la musica non cambia.

E a quel punto, l’attesa e le aspettative si sono tramutate inevitabilmente nelle critiche e nei veleni: Gabigol, da ragazzo della Provvidenza, è diventato nel giro di breve tempo il bersaglio delle accuse più disparate. Tralasciando l’ovvia e a volte banale ironia dei social network e dei loro cavalcatori, diventati ormai un metro quasi irrinunciabile ma non sempre autorevole per provare a capire qual è il polso del tifoso medio, sul conto del Menino da Vilha se ne sono sentite di tutti i colori: da giocatore meraviglioso a bidone pagato troppo caro, scelto su spinta della longa manus di consiglieri ed eminenze grigie ricompensati poi con una commissione sì sostanziosa ma non al punto tale da essere meritevole di un’indagine Fifa; giocatore preso solo dopo aver visto sfumare l’obiettivo vero, quel Gabriel Jesus che al Manchester City ha avuto un impatto devastante prima in campo poi in infermeria; poco adatto ai ritmi e allo stile del calcio italiano e secondo qualcuno poco incline anche ad adattarvisi. Soprattutto, sempre secondo le solite voci di corridoio, preso da una parte del club ma inviso ad un’altra.

In tutto questo marasma di accuse e controaccuse, però, succede anche altro. Succede che il buon Gabriel, alla fine, nella Milano nerazzurra non è mai stato solo un punching-ball, un esempio dell’annata disgraziata sotto ogni aspetto vissuta dall’Inter. Tanto per dire, il tifo nerazzurro non lo ha mai lasciato solo: sempre applaudito quando si alzava dalla panchina per riscaldarsi spesso invano; sempre osannato nei pochi minuti in campo e a ogni giocata; addirittura invocato per acclamazione in campo durante una delle ultime partite della stagione dal pubblico del Meazza, quasi a voler utilizzare il suo effetto benefico per neutralizzare uno dei momenti di maggiore imbarazzo della stagione interista. Poi scopri che il Daily Telegraph, non un quotidiano qualsiasi, nello stilare la lista dei 50 migliori Under 21 del mondo colloca il nostro a ridosso della top ten, davanti, per dire, ad elementi magari più in vista come Anthony Martial, Youri Tielemans o, tanto per fare un esempio più vicino a noi, distanziando di ben 30 posti Patrik Schick. E poi, Paulo Roberto Falcao, di certo non l’ultimo arrivato della storia del calcio brasiliano, si dice pronto a scommettere sul fatto che il ragazzo prima o poi farà bene nel nostro Paese.

E allora, la domanda sorge spontanea: qual è la verità su Gabriel Barbosa Almeida? Soprattutto, quanto tempo ci vorrà a scoprirla? È davvero quel bidone che è stato dipinto oppure ha solo pagato più di altri lo scotto di un ambientamento non facile unito ad un contesto alquanto esplosivo? È davvero un giocatore che in un determinato schema è difficile da inquadrare o è quel giocatore così indolente al punto da vedersi scavalcato nelle scelte anche da Andrea Pinamonti, il talento fatto in casa che nelle ultime partite di campionato ha avuto più spazio di lui e che all’Inter ormai si coccolano al punto tale da diventare anche testimonial della tournée cinese, sopravanzando il brasiliano anche in quel ruolo che lo sponsor auspicava di cucire per lui sulla scia di un utopistico ‘Ronaldo-bis’?

Chissà quanto tempo ci vorrà per avere queste risposte, e chissà se già questo mercato estivo potrà dare delle risposte sul suo futuro. Anche se, in tutto questo, alla fine quello che sembra scomporsi di meno è proprio lui, il diretto interessato, Gabriel Barbosa Almeida da São Bernardo do Campo. Uno che non ha fatto poi così tanto in prima persona per smuovere mari e monti intorno a lui, un ruolo che magari hanno preferito accollarsi le persone più vicine a lui, e che solo all’atto finale ha platealmente manifestato la propria delusione per uno spazio in campo promesso e non concesso. Ma cose estemporanee, visto che ancora oggi, dal Brasile, il ragazzo continua a mostrarsi sereno, ad affermare di non essere pentito di aver scelto l’Inter e di essere convinto che il suo momento arriverà. Soprattutto, respingendo le voci di mercato che lo vorrebbero come oggetto del desiderio del Las Palmas piuttosto che del Porto, perché il suo futuro, ad oggi, lo vede tinto di nerazzurro.

Gabigol non ha paura e sorride, si sente pronto a convincere il nuovo allenatore Luciano Spalletti e invita tutti a non emettere sentenze troppo affrettate: legittimo, visto che il ragazzo deve ancora compiere 21 anni. L’enigma, però, resta: e resta da capire se Luciano Spalletti riuscirà nel caso a risolverlo, aiutandolo a far sbocciare definitivamente le proprie qualità, oppure se avrà voglia di caricarsi sulle spalle per l’intera stagione un altro, possibile caso spinoso. 

Sezione: Editoriale / Data: Sab 24 giugno 2017 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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