Da sempre i giorni che seguono le partite sono quelli in cui tutti si soffermano a commentare l'accaduto e dopo le sconfitte, come nel caso di giovedì sera, inizia l'affannosa ricerca dei responsabili. Tutti quanti, in versione Sherlock Holmes, analizzano con tanto di berretto e lente d'ingrandimento quello che è successo nella gara in questione (e non solo) per poi trarre conclusioni e arrivare a identificare il o i colpevoli. La Milano nerazzurra in questo tipo di indagini è da sempre stata maestra e nelle ultime ore si contano innumerevoli sospettati chiamati in causa come possibili e probabili autori del misfatto contro i tedeschi del Wolfsburg: c'è chi dà la colpa a Mancini, chi alla rosa e chi alla società in toto, ma anche ai singoli dirigenti, rei di non aver svolto al meglio il loro dovere, ivi incluso il presidente Thohir.

Certamente uscire di scena crea dissapori e il fatto che il cuore del tifo nerazzurro, che si era distanziato dalle critiche a Mazzarri all'inizio dell'anno, arrivi a fischiare e invitare la squadra a tirare fuori gli attributi, la dice lunga su quanto la situazione in casa Inter sia ormai degenerata e nemmeno il miracolo di rientrare nella lotta per l'Europa League 2015/16 potrà farla cessare. Il problema, però, è più grande e non è figlio di questa singola stagione, ma della gestione del post Stramaccioni (l'unico prima di WM a portare a termine un campionato sulla panchina dell'Inter partecipandovi dal principio). In quel periodo, oltre all'avvicendamento in panchina si stava consumando anche un cambio ben più importante ai piani alti, con Moratti che decideva di vendere al businessman indonesiano destabilizzando, e non poco, l'ambiente (come spesso ha ricordato Mazzarri durante il suo primo anno all'Inter).

Il tycoon dopo il suo insediamento si vuol far conoscere dai media italiani e proclama senza troppi giri di parole che sogna di vedere l'Inter in finale di Champions League a San Siro nella stagione 2015/16 e che farà di tutto perché ciò accada. La cosa fa sorridere tutti vedendo le ultime stagioni dei nerazzurri che sono addirittura fuori dall'Europa in quel momento, ma il magnate indonesiano sembra crederci davvero e nei tifosi interisti si istilla un piccolo barlume di speranza. Questo è il primo errore: propagandisticamente è comprensibile affermare una cosa simile per attirare a sé il calore della piazza, ma perseverare nel ribadire il concetto in più occasioni è sintomatico di una visione distorta della realtà. Nella rosa in mano a Mazzarri all'inizio di quella stagione ci sono più di una decina di reduci dalla stagione fallimentare con Stramaccioni. Se si vuole entrare nell'Europa che conta questo è un dato che non può essere sottovalutato o lasciato da parte.

Fra mille peripezie e una qualificazione ai preliminari di Europa League passata in secondo piano perché conquistata nella sera dell'addio a San Siro di Javier Zanetti e degli argentini storici, arriva il primo mercato estivo della gestione Thohir-Mazzarri. L'allenatore cala subito l'asso e dice di volere un giocatore simile a quel Luiz Gustavo che non più tardi di giovedì sera ha fatto capire perché il tecnico toscano fosse invaghito di lui. A luglio, però, arrivano per rinforzare il centrocampo Medel (giocatore divino per la garra che mette in campo, ma non ha i piedi di un brasiliano) e M'Vila, giovane speranza francese che però è evidentemente in sovrappeso e non riesce a svolgee in pieno la preparazione estiva perché bloccato in hotel da un fax che tardava ad arrivare. Insieme a loro arrivano Vidic, Dodò e Osvaldo. Nel frattempo inizia la stagione e la piazza chiede la testa di Mazzarri, giudicato troppo prevedibile e poco empatico per poter allenare l'Inter. Dei sopra citati in campo, nella gara di ieri, fra infortuni e vicissitudini varie, c'era il solo Medel. Questo è il secondo errore dell'Inter: nessuno dice che non si doveva esonerare Mazzarri, quelle sono decisioni inappellabili nel cui merito è facile entrare, ma difficile uscirne; il vero errore è stato l'essersi affidato a giocatori che venivano da situazioni particolari e il cui rendimento sarebbe stato incerto. È giustissimo cercare delle occasioni e fare di necessità virtù quando le risorse a disposizione sono esigue, ma uno o due punti fissi su cui potersi affidare per tutta la stagione e anche di più sarebbero tornati molto utili sia a Mazzarri che a Mancini.

Esonerato il primo torna a Milano il secondo, che si trova a dover mettere in campo una squadra costruita per un altro allenatore con un credo tattico totalmente all'opposto del suo. Il primo periodo viene definito quello della “raccolta dei dati” e Mancini non conferma quasi mai l'undici della partita precedente per verificare e testare la rosa a disposizione. A gennaio con il mercato aperto il Mancio fa le sue riflessioni e da ottimo manager quale è, insieme alla fantasia in fase di trattative di Piero Ausilio, riesce a strappare il prestito di Podolski, Marcelo Brozovic, Xherdan Shaqiri in comode rate e Davide Santon all'ultimo giorno di mercato. È in questa fase che si commette un errore cruciale. Il mercato ha portato 3 giocatori, ma avendo già giocato in Europa solo uno di questi poteva essere inserito nella nuova lista dell'Inter. In automatico, chiunque pensa che i due esclusi dalle liste UEFA (Brozovic e Podolski) saranno gli uomini per il campionato utili per fare rifiatare gente come Palacio, Hernanes, Kuzmanovic e Kovacic. Questo non accade sempre e si preferisce puntare su un dolorante Palacio e spremere all'inverosimile Shaqiri con il risultato di un'elongazione al bicipite femorale della coscia sinistra per lo svizzero che salta a piè pari il ritorno della gara decisiva contro il Wolfsburg.

Si arriva quindi all'ormai nota gara contro i tedeschi e, sorpresa fra le sorprese, Mancini rispolvera il 4-2-3-1 con Hernanes e Kovacic esterni. La scelta non si può né criticare né avallare, il tecnico ha fatto le sue valutazioni prima della gara e lo stesso Hernanes ha ammesso candidamente che la volontà era quella di contenere gli esterni dei tedeschi. Quello che si può criticare è l'approccio alla gara che condiziona l'intero evolversi della partita. I nerazzurri chiamano a raccolta i tifosi per spingerli alla rimonta che viene da più parti bollata come impresa. In realtà l'Inter deve fare 2 gol, non 3 o 4 come l'Arsenal martedì sera. La rete arriva al 24' minuto su una transizione offensiva, ma è del Wolfsburg, con i tedeschi che erano già partiti più volte in contropiede. Questo è l'ultimo errore che ha portato all'eliminazione dell'Inter: non si doveva recuperare uno 0-3, non c'era la necessità di spingere sin dalle prime battute, l'importante, per rimanere in partita, era non subire gol, invece l'Inter sin da subito si è gettata avanti per cercare una rete che poteva arrivare con calma. Se a questo poi si aggiungono i soliti errori di alcuni difensori e la scarsa adattabilità di altri a interpretare ruoli a cui non sono abituati allora la frittata è fatta.

La vittoria nel doppio confronto del Wolfsburg non è figlia solo di un fattore o di un solo errore, l'eliminazione contro una squadra che non è quella corazzata che si voleva dipingere è frutto di una serie di eventi che come un domino si sono susseguiti fino a qui. Adesso l'Inter tutta deve analizzare tutte le variabili che hanno condotto sino a questo punto e far sì che quella di giovedì sia stata l'ultima pedina di questo domino: solo in quel caso si può ripartire nella speranza di non dover più vestirsi da Sherlock Holmes per cercare nuovi colpevoli.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 21 marzo 2015 alle 00:01
Autore: Gianluca Scudieri / Twitter: @JeNjiScu
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