Partiamo da un dato, un numero che può essere effimero finché si vuole ma che comunque è utile per poter provare a imbastire determinati discorsi: 606 milioni di sterline, o, per usare il conio a noi più familiare, 669 milioni di euro. Questo è il valore accreditato dal sito specializzato Transfermarkt alla rosa attuale dell’Inter dopo le operazioni di questa prima parte di mercato. Una cifra che fa dei nerazzurri la decima rosa più ‘ricca’ d’Europa, top ten comandata dall’inarrivabile Manchester United che sfonda la quota del miliardo di euro. Il tutto con un’impennata in percentuale del ‘montepremi’ del 3,3, considerati anche i vari rientri dai prestiti. Un dato sicuramente corroborante, che può aiutare come detto a guardare con occhi meno critici e un sentiment meno negativo ad una realtà che comunque è pesante per tutto il mondo del calcio.

La cessione di Achraf Hakimi è stata dura da digerire, non scopriamo di certo l’acqua calda. Tanti sono gli aspetti che hanno fatto male della partenza del calciatore marocchino, che dopo solo un anno da protagonista della cavalcata tricolore dell’Inter ha preferito i ricchi lidi parigini. Tralasciando l’exploit di nemmeno 48 ore dopo l’annuncio ufficiale da parte del suo agente, che fino a nemmeno troppo tempo prima della cessione giocava con dichiarazioni da zero a zero su quanto il suo assistito stesse bene all’Inter si è detto pronto a giurare sulla sua voglia di tornare al Real Madrid; al di là delle questioni, ormai sempre più effimere di attaccamento alla maglia è stato un dispiacere vedere andare via un giocatore dal talento così cristallino come da anni non si vedeva nella Milano nerazzurra, tra l’altro con la punizione da contrappasso dantesco di non potergli permettere di sentire il boato di San Siro ad ogni sua sgommata sulla corsia destra. Ma è stato altresì detto in tutte le salse che la partenza repentina dell’ex Borussia Dortmund altro non è che figlia della congiuntura sfavorevole che si è venuta a creare a livello economico: nessuno si sarebbe mai sognato di privarsi di un patrimonio come Hakimi in condizioni normali, a meno di un’offerta astronomica come forse non può essere definita del tutto quella del Psg, nonostante il contributo dato alla gravosa situazione delle casse.

Così come nessuno, in casa nerazzurra, è tentato dal cadere nella tentazione, spesso prefigurata anche se in alcuni casi verrebbe da dire auspicata, di cedere di propria spontanea volontà un altro elemento di pregio di questa rosa tanto economicamente rilevante. Servirebbero insomma le classiche proposte indecenti per togliere un altro tassello a questo gruppo plasmato in questi anni e capace di valorizzarsi progressivamente sul piano tecnico prima ancora che economico. Un gruppo che, ha ribadito più di una volta Beppe Marotta, l’Inter intende confermare almeno all’85%. Ed è un presupposto sicuramente importante, ancora più solido se vogliamo di quello che portò, dopo la fatidica conquista della Champions League nel 2010, l’allora presidente Massimo Moratti a confermare in blocco l’intera rosa dalla quale José Mourinho aveva praticamente cavato tutto a livello di energie, pagando poi le conseguenze non solo in campo negli anni a venire. Qui si parte volendo da un piano ben differente: perché in questo caso siamo davanti ad un gruppo dall’età media non elevatissima, ricco di elementi nel pieno della loro maturità agonistica soprattutto nei suoi elementi di punta, quelli ritenuti imprescindibili a partire da Romelu Lukaku e Nicolò Barella.

Insomma, il progetto non si tocca. Così come non si toccano i pezzi pregiati della rosa e tra questi vanno sicuramente inclusi i pilastri della difesa, il blocco che ha fatto buona parte delle fortune di questa squadra, condizione tassativa posta dal nuovo tecnico Simone Inzaghi per iniziare a costruire la sua creatura. Chi andrà via saranno quei giocatori che in questa squadra sembrano non avere troppe prospettive e che presumibilmente non lasceranno troppi rimorsi nella tifoseria. Pur con tutte le difficoltà del contesto, il progetto non si tocca e si cerca anzi per quanto possibile di andare avanti: con l’arrivo di un parametro zero che arricchisce di valore il gruppo come Hakan Calhanoglu, arrivato per necessità ben note ma benedetto dallo stesso Inzaghi, che probabilmente ha capito che accogliere giocatori senza spendere un soldo è più da ‘schiena dritta’ rispetto a perderli senza mettere nemmeno un cent in saccoccia anche dopo averli visti trionfare da protagonisti all’Europeo…

E andrà avanti molto probabilmente con l’arrivo di un Leon a centrocampo, quel Nahitan Nandez a lungo inseguito e per il quale la strada sembra ormai in discesa: un’operazione, quella per il duttile uruguayano, che se dovesse andare in porto nei termini prefigurati, magari con l’innesco di una trade che coinvolga più giocatori, rappresenterebbe un piccolo capolavoro di creatività, quella creatività tanto tirata in ballo dallo stesso Marotta come parola chiave di questa sessione estiva. Il tutto in attesa di capire come rinforzare le fasce, settore chiave del gioco dello stesso Inzaghi: Hector Bellerin scalpita per raggiungere Milano ma l’Arsenal non sembra cedere alle condizioni chieste dall’Inter; Denzel Dumfries a quanto pare è stato un bel sogno alimentato da un bell’Europeo, altri nomi che ballano non scaldano più di tanto o non sono facilmente raggiungibili.

Insomma, a volerla guardare bene, tutto si può dire tranne che ci sia l’intenzione da parte dell’Inter di togliere competitività alla squadra. Partendo da una base solida e affidando la macchina ad un pilota che sa gestire bene certi tipi di schemi e di motori. In un campionato che si preannuncia probabilmente il più scintillante dal punto di vista delle panchine degli ultimi anni, Simone Inzaghi parte in una posizione sicuramente più scomoda rispetto a quella cui era abituato. Starà a lui difendere il tricolore in una battaglia che si lancia lunga e nervosa, dove nessuno si sogna di giocare a carte scoperte e parlare spudoratamente di ambizioni Scudetto, tanto è ricca la concorrenza e tanto è grande la posta in palio in questa stagione. Ma la sfida, al tempo stesso, è alquanto stimolante: avere la chance di puntare allo Scudetto che con la Lazio, due stagioni orsono, ha sfiorato col pensiero e anche qualcosa in più, e magari diventare il tecnico capace di far fare alla squadra l’auspicato salto di qualità in Champions League.

Il tutto, però, non deve essere condizionato dai giudizi preventivi che già stanno fioccando da opinionisti più o meno autorevoli pronti a scommettere su un Inzaghi a piedi nudi sui carboni ardenti, parole a volte dette anche per rivolgere le ennesime frecciate alla proprietà (ma siamo sicuri che staccare un assegno per un aumento di capitale di un club di calcio, specie in tempi simili, sia una cosa che venga accolta da chi la opera tra squilli di tromba e fanfare?), come a voler caricare la situazione di ulteriore pressione. Esaurita la sbornia dell’Europeo e con un mercato che fatica a decollare, il dibattito in qualche modo va alimentato, non c’è ombra di dubbio.

La cosa importante sarà ricordare che le valutazioni vanno fatte solo a mercato finito e nemmeno quello basterà, vista la lunghezza della stagione e i continui ribaltamenti sempre dietro l’angolo. La cosa importante è lasciar suonare il pianista Simone Inzaghi e far sì che possa svolgere il suo lavoro con tutto il sostegno che gli occorre. Tutti sanno che eredità pesante raccoglie, ma tutti devono sapere che se accettare una sfida simile, e farlo rinunciando alla sua comfort zone, vuol dire una cosa: sapere di avere le dita giuste per suonare questo pianoforte così bello e difficile.
Sezione: Editoriale / Data: Mer 21 luglio 2021 alle 00:01
Autore: Christian Liotta
vedi letture
Print