"L’Inter adesso è un club stabile: ha bisogno di una persona sola e forte al vertice per poter competere al top in Europa. Spero che passi agli ottavi. I nerazzurri sono la mia squadra, sono ancora tifoso interista. Per il Tottenham al Camp Nou sarà difficile. Il Barcellona potrebbe mettere in campo una squadra B, gli inglesi andranno con la squadra più forte: sarà una partita interessante. Il Psv a Milano non ha niente da perdere, ha giovani di valore come Lozano. Ma sono certo di una cosa: quando l’Inter gioca in casa e deve vincere, l’Inter alla fine vince". Lo dice Andy Van der Meyde, intervistato per l'occasione dalla Gazzetta dello Sport.

Chi le piace dei nerazzurri?
"Perisic, capitan Icardi, Nainggolan. Si divertono, lo vedi nei loro sorrisi: insieme fanno una buona squadra. Spalletti ha carattere quando allena, quando vive la partita dietro la linea laterale. Si vede che c’è un buon legame con la squadra".

Per i tifosi nerazzurri lei rimane un mito.
"È strano ma bellissimo. Non mi hanno mai dimenticato anche se non ho giocato molto bene il secondo anno. Tre anni fa sono venuto a San Siro: ero già senza capelli, avevo il cappello ed ero seduto in tribuna. Qualcuno mi ha riconosciuto, mi hanno chiamato dalla Curva Nord e sono andato tra i tifosi: hanno cantato per me, è stato davvero emozionante".

A Milano ha avuto tre allenatori: Cuper, Zaccheroni, Mancini. Chi preferiva?
"Nessuno dei tre. Mi dicevano “dobbiamo giocare con le ali, ma devi difendere”. Venivo schierato a centrocampo, ma io ero un’ala destra, un attaccante, la mia forza era davanti. Non avevo mai difeso: ecco perché è stato difficile per me".

Nella sua autobiografia ha raccontato tutti i suoi eccessi durante la carriera: adesso quanto le manca la vita da star?
"Sono stato fortunato perché Dio mi ha dato un talento, ma ero e sono una persona normale come tanti altri. Fu molto difficile quando ero all’Everton: ho avuto una bambina, era malata, ha vissuto tre anni in ospedale. Il mio obiettivo non era più in campo ma era lei: ero milionario, potevo fare tutto ma non potevo aiutare mia figlia. È stato tremendo, i milioni non significavano niente davanti alla malattia".

Quanti rimpianti ha ancora?
"Tanti, ma ora sto bene. Ho sempre pensato di essere nel giusto e che erano gli altri a sbagliare. Vedevo il mondo contro di me, ero giovane, ero stupido, abbassavo la testa e non ascoltavo l’allenatore e gli altri. Oggi tanti giocatori fanno ancora errori come i miei".

Sezione: Copertina / Data: Mar 11 dicembre 2018 alle 08:52 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
vedi letture
Print