Una partita difficile, una sconfitta tutto sommato evitabile. Il Barcellona ha dimostrato una superiorità schiacciante nei primi quarantacinque minuti, quando arriva il gol di Rafinha che indirizza la partita. Nella ripresa, l’Inter prende coraggio e si affaccia più spesso dalle parti di Ter Stegen: ha un paio di buone occasioni, ma l’artiglio non ha graffiato. Spalletti per recuperare lo svantaggio si gioca tutte le cartucce offensive a sua disposizione, facendo tre cambi offensivi che non producono l’effetto sperato, anzi sparigliano la Linea Maginot che Spalletti dirigeva dalla panchina e condannano l’Inter alla prima sconfitta della stagione in Champions League. Niente di drammatico, o che non era stato preventivato ad inizio stagione: il Barcellona non perde al Camp Nou dal 2016, l’assenza di Messi è relativa. C’è ancora un differente status tra le due squadre che si sono affrontate ieri sera, e la differenza sta nei dettagli.
IL PIANO PARTITA - Spalletti ha impostato la partita alla stessa maniera in cui aveva pensato alle trasferte dello scorso anno al San Paolo contro il Napoli e all’Allianz Stadium contro la Juventus. Un 4-2-3-1 che si chiudeva in un 4-4-1 in fase di non possesso, per poi dispiegarsi sulle fasce una volta riconquistato il pallone. Tuttavia, l’esecuzione del suo undici l’ha tradito in più di un’occasione, e la sostituzione di Candreva dopo 45’ è sintomatica del cambio di mentalità necessario. Nella ripresa l’Inter parte forte e aggredisce alta, sfiora il gol ma capitombola di nuovo quando c’è da eseguire delle letture tutto sommato semplici. Il centrocampo del Barcellona disegna calcio e fa saltare le marcature, quando Alba si sovrappone ed effettua un blitz su cui Skriniar non può nulla. Ed è davanti allo stesso Skriniar che passa il cross di Suarez indirizzato a Rafinha, che da solo in mezzo a quattro difensori dell’Inter porta i suoi in vantaggio. Nell’uno contro uno il numero 37 rimane insuperabile, mentre Miranda accusa le sportellate con Suarez. Il neo più grande è relativa al peso dell’assenza di De Vrij, perché senza l’olandese la palla si muove poco e male. Spalletti dovrà inventarsi qualcosa durante le staffette dei suoi centrali per evitare di incorrere in altre serate in cui il pallone proprio non vuol saperne di uscire.
LA GARRA DI ZAGABRIA - Per il centrocampo dell’Inter non era la più semplice delle partite, senza il suo uomo migliore e contro uno dei centrocampi più illuminati del calcio mondiale. Tuttavia, la diga centrale formata da Brozovic e Vecino ha retto e si è meritata un plauso, in una serata in cui molti quando c’era da prendersi delle responsabilità si son girati dall’altra parte. Vecino è stato l’unico che ha provato con costanza a colpire la difesa del Barcellona. Ha vinto tutti i contrasti in campo, intercettato una quantità indefinita di palloni e prodotto diversi break a centrocampo che hanno portato ad azioni pericolose dell’attacco interista. In generale, con le sue sgroppate l’uruguagio è quello che scuote dal torpore della sconfitta i suoi e suona la carica fin dove riesce. Si perde nell’ultimo passaggio, perché gli esterni non sono in giornata e Icardi è troppo, troppo solo lì davanti. Brozovic ha giocato una partita a sprazzi, ma i suoi momenti migliori sono concisi con le accelerazioni dell’Inter che potevano far male. Quando, nel primo tempo, l’Inter non riusciva ad effettuare tre passaggi consecutivi, Spalletti era una furia: “A Brozo, a Brozo, a Brozo”, urlava a bordocampo. Datela a lui, riorganizziamoci e ripartiamo. La tranquillità che può dare un giocatore introverso come il croato è sconcertante, se paragonata alla sua storia all’Inter. Tuttavia è uno dei leader di questa squadra, e al Camp Nou ha mosso un altro passo verso un certo tipo di consapevolezza.
DISTANZE - Il riassunto di Spalletti a fine partita è riassumibile in una parola: colmabile. Si sta ovviamente parlando del gap con il Barcellona, che al Camp Nou per certi tratti è stato evidente, soprattutto dal punto di vista mentale: i blaugrana sono abituati a giocare un certo tipo di partite, con una tranquillità estemporanea e una classe che permette loro di concedersi alcune raffinatezze stilistiche che Politano ha provato a imitare, con scarsi risultati. Arthur si è dimostrato un giocatore dalla classe superiore, così come Busquets si è giostrato benissimo nelle due fasi. Suarez e il suo atteggiamento strafottente, da uno cui è concesso qualsiasi cosa su di un campo di calcio, sono un altro esempio di come si deve scendere in campo in partite come queste. L’Inter crescerà, senza dubbio: fa tutto parte di un progetto di crescita che proietterà il gruppo di Spalletti in una nuova dimensione. Nel girone si naviga ancora in acque tremebonde: stando così la classifica, l’Inter ha ancora in mano il suo destino e la possibilità di giocarsi due match-match-point per la qualificazione. Ma in campo europeo c’è bisogno di mandare messaggi forti, inequivocabili: a San Siro, tra due settimane, c’è da dimostrare che quella distanza di cui parlava Spalletti è sì colmabile, e anche in tempi brevi. E dove non arriva la tecnica, proprio l’Inter ci ha insegnato che ci si può aggrappare ad altri fattori, nel calcio ugualmente importanti. Ve ne viene in mente uno?
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Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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