Esteban Cambiasso ha parlato alla Gazzetta dello Sport e, come al solito, le sue dichiarazioni non sono mai banali. Il Cuchu si dimostra ancora una volta leader vero, dentro e fuori dal campo. Una delle anime forti di questa Inter, che vuole ancora vincere.
Cambiasso, non per infierire: che sapore ha giocare una partita vera già il 2 agosto? Senso di colpa? Autopunizione? Espiazione di un peccato?
«E perché? Nel 2009 abbiamo giocato l’8 agosto, a Pechino contro la Lazio, dopo aver vinto lo scudetto...».
Non faccia il furbo: quella ve l’eravate cercata. Questa anche, ma in un altro senso.
«Appunto: questa partita è solo la conseguenza della scorsa stagione. In agosto ci è successo di giocare due Supercoppe, questo agosto giochiamo i preliminari di Europa League».
Che possono ammazzare una stagione?
«Non mettiamola giù così dura: l’Udinese l’anno scorso è arrivata terza dopo aver giocato dei preliminari. Se vedi problemi che in realtà non ci sono, poi magari ti convinci davvero che sia un problema».
Problema sottovalutazione dell’Europa League, per chi è abituato alla Champions?
«Rischi zero».
Anche perché non sarà così facile distrarsi nella bolgia che vi aspetta a Spalato. I campi più caldi dove ha giocato?
«In Argentina quasi tutti, anche quelli più piccoli della Bombonera. In Europa, ad Atene: quello dell’Aek (con il Real) e del Panathinaikos (con l’Inter). E poi il Camp Nou, la sera che il Barça doveva fare la remuntada, non scherzava».
Altre insidie a Spalato?
«Il caldo, il campo che pare non sia granché e l’entusiasmo dell’Hajduk: l’hanno chiamata partita storica».
Dunque?
«Dunque non dev’essere troppo più storica per loro che per noi. Anche perché, se arriveremo in fondo, la ricorderemo come gara importante almeno quanto quelle venute dopo».
Detto da chi dovrà sbattersi lì in mezzo: meglio giocarla con tre centrocampisti?
«Conta l’atteggiamento, non i numeri: nel calcio sono troppo variabili e delicati».
Sembra di sentir parlare Stramaccioni: a occhio l’allenatore più giovane che lei abbia mai avuto, giusto?
«Io, non solo nel calcio, non divido le persone in base all’età, ma alla bravura: bravi o non bravi. O sai, o non sai».
Strama cosa sa, per aver conquistato così in fretta tutti?
«Stramaccioni anzitutto ha carisma. Non so se sia collegato a qualcosa di specifico tipo il sapere, ma ce l’ha e questo ha creato una sensazione diffusa, che ha fatto sì che lui fosse assorbito in tempi brevi come uno di casa. Uno da Inter».
Uno che è appena arrivato all’Inter, Palacio: in cosa è migliorato rispetto a quando giocavate insieme in Nazionale?
«Agli attaccanti il calcio italiano dà qualcosa in più. Basta vedere Milito: prima non aveva questo amore per il gol, che ha sviluppato in B col Genoa. Rodrigo era solo una seconda punta da assist, oggi è una seconda punta da assist e da gol».
Ma lei in squadra uno che in campo fa quello che fa Cambiasso, ce l’ha mai avuto?
«Vuol dire un rompiballe come me? Forse Gabriel Milito. Parlava in continuazione anche lui, era come avere uno specchietto alle spalle».
Le viene il dubbio di parlare troppo?
«Non vedo un troppo, la comunicazione è importante: se parli, puoi aiutare a decidere qual è la giocata migliore».
E il dubbio di aver corso troppo in carriera? Correre tanto la accorcia, una carriera?
«Credo di aver corso quello che era necessario, ma so che poco non è stato. Ma credo anche che la carriera possa accorciarmela più che altro il modo che ho di vivere il calcio: se uscissi dalla Pinetina e riuscissi a staccare per pensare solo alla famiglia, forse me la allungherei. Ma se non avessi sempre fatto così, sarei arrivato a questi livelli?».
Le è mai venuta la tentazione di chiedere all’allenatore di farla giocare meno?
«No, perché quando un allenatore decide, lo fa calcolando le forze che ha e quello che gli serve: se lo avessi fatto, mi sarei sentito di togliere qualcosa all’allenatore e alla squadra».
Anche l’anno scorso Cambiasso e Zanetti sono stati sempre e comunque i più utilizzati dell’Inter: perché non c’è nessuno più bravo di voi?
«Non l’anno scorso: anche l’anno scorso, appunto. Come pure nei sette anni precedenti, solo che allora le cose andavano bene e non faceva così scalpore. Non so se è perché siamo i più bravi: direi perché l’allenatore ha creduto che fossimo necessari in campo e non fuori».
Mai pensato di poter essere più importante fuori che in campo?
«Il campo è la cosa che rende più felice un giocatore, ma non mi sono mai fermato a chiedermi se sono più felice per i 90’ che sto in campo o per quanto lavoro per l’Inter durante la settimana anche fuori dal campo».
Meglio giocare un’Inter-Marsiglia decisivo e stare fuori in nove partite, o giocarne nove e rimanere in panchina quando ci si gioca tanto, come capitò a lei l’anno scorso quella sera?
«Risposta inutile, perché nessun allenatore ti dà questa garanzia: gli allenatori fanno quello che credono giusto per vincere e noi non possiamo essere più importanti dell’allenatore. Altrimenti saltano tutti gli equilibri ed è un casino».
Dunque quando sente o sentiva dire che lei e Zanetti siete più importanti dell’allenatore, che fate voi la formazione, che decidete voi gli acquisti dell’Inter, le viene più da arrabbiarsi o da ridere?
«Da arrabbiarsi, perché significa strumentalizzare con cattiveria certe situazioni, tipo una stagione negativa come la scorsa. Perché quando vincevamo tutto non si diceva?».
Forse perché l’anno scorso giocavate anche male e quando vincevate tutto no?
«Sì, certo: mica solo io e Pupi, però. E se c’è una squadra che va male, è più facile che falliscano tutti».
L’errore da non rifare della scorsa stagione?
«Dovrei scegliere fra troppi, ci metterei troppo. Di sicuro l’Inter può permettersi un anno di errori così, ma non più di un anno».
Riesce a dire in che anno si vede allenatore?
«Non so neanche se farò l’allenatore: è una scelta di vita, dovrò pensare anche alla famiglia. Se avessi la garanzia di poter cambiare così poche squadre in così tanti anni, come ho fatto da calciatore, firmerei adesso: ma questa per un allenatore è un’eccezione, non la regola».
E poi gli allenatori devono parlare con i giornalisti...
«Ma guardi che io mi diverto a parlare con voi. Il problema è che in Italia gli allenatori, prima e dopo le partite, devono parlare più con i giornalisti che con i propri giocatori».
È giusto piangere per il calcio, come fece lei il giorno di Inter-Catania?
«I sentimenti non hanno giustizia. Per fortuna in carriera ho pianto molto più di gioia — l’ho fatto a Siena, l’ho fatto a Madrid — che di tristezza».
Le ha fatto tristezza sentir dire a Lucio che sui 30 scudetti della Juve la pensa come Agnelli?
«A Bari, prima del Trofeo Tim, è stato lui a venire da noi per spiegarsi. Ho detto tutto».
Ripensando all’anno scorso, quanto peserà alla Juve il fatto di dover giocare la Champions?
«Non so se sarà un peso, di sicuro le loro settimane saranno diverse».
Ma trova che la Juve, dopo questa prima parte di mercato, sia ancora più lontana?
«Quello che dici oggi può non valere più il 31 agosto. E poi quanti scudetti di mercato ha vinto l’Inter per poi non vincerne?».
Autore: Alessandro Cavasinni
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