Habemus Spalletti. L'Inter, anche se ormai era un segreto di pulcinella, sarà guidata dal tecnico toscano. L'ufficialità, però, solo dopo il confronto con il padre di Suning, Zhang Jindong e il suo ex compagno di avventura Walter Sabatini. Spalletti è infatti partito ieri mattina da Malpensa per Nanchino, la città dove risiede il quartier generale della proprietà nerazzurra, accompagnato dal direttore sportivo Piero Ausilio e dal giovane Steven Zhang. “Per ora è bastata una stretta di mano, siamo all'antica noi e sono contento di essere l'allenatore dell'Inter”, ha detto con il suo sorriso sornione Spalletti ai giornalisti presenti prima di imbattersi nel lungo viaggio. Il neo tecnico nerazzurro ha subito incassato la protezione della dirigenza tramite le parole di Ausilio: “Abbiamo sempre lavorato per ingaggiare Spalletti”, la simpatica bugia. In realtà la prima scelta era Antonio Conte che fino a pochi giorni fa ha tenuto sulla corda la dirigenza nerazzurra, pur dando sempre la priorità al Chelsea che ha poi deciso di esaudire i desideri del fresco vincitore della Premier League. Così come non è un segreto che si fosse andati a sondare la disponibilità del Cholo Simeone il quale avrebbe portato, come Conte, quella grinta e quella disciplina unita anche ad un sano interismo.

Ma come già scritto in precedenza, Luciano Spalletti non è un ripiego. A mio avviso è la conferma della potenza della proprietà che sta puntando al meglio. Per ora in panchina, speriamo a breve anche in sede di mercato, perchè, per vincere, servono i campioni che sanno come fare. Ma chi è Luciano Spalletti? Cosa potrà dare a questa Inter affamata di successi che mancano da troppo tempo e quali sarebbero, invece, le controindicazioni? Spalletti è un allenatore che regala un'impronta forte alla squadra. La fa giocare bene non per accontentare l'esteta di turno, ma per arrivare al fine supremo: la vittoria. Tatticamente tra i più preparati, a seconda degli uomini a disposizione può giocare con più moduli. La sua consacrazione all'Udinese, che portò, per la prima volta nella storia del club friulano, a giocare in Champions League. Alla Roma non vinse lo scudetto solo perchè doveva competere con una squadra più forte, l'Inter di Roberto Mancini che trionfò nelle stagioni 2006-2007 e 2007-2008. Ma si consolò conquistando due Coppa Italia e una Supercoppa italiana, battendo sempre l'Inter in finale. Per vincere i campionati Spalletti è dovuto emigrare in Russia, dove è riuscito ad arrivare primo per due stagioni consecutive alla guida dello Zenit San Pietroburgo. Il ritorno alla Roma al posto dell'esonerato Rudi Garcia, nel gennaio 2016, è stato scandito da tantissime vittorie e una media punti impressionante. Nella seconda parentesi sotto il Cupolone, consegue un terzo e un secondo posto, quest'anno a quattro punti dall'inarrivabile Juventus. Male invece in Europa, sconfitto in modo netto dal Porto nel preliminare di Champions League e poi ai quarti di finale di Europa League con il Lione, squadra nettamente alla portata dei giallorossi. Male anche in Coppa Italia, eliminato nelle due gare di semifinale dalla Lazio. E a Roma, un ko del genere provoca rotture insanabili.

Le controindicazioni riguardano il carattere di Luciano Spalletti. Persona di spessore, intelligente, acculturato, amabile quando le cose procedono per il meglio. Ma quando non vanno per il verso giusto, il tecnico toscano non media, attacca. Spesso, a sproposito. I giornalisti diventano un bersaglio grosso su cui scatenare i colpi. A Roma, anche chi ha cercato solamente di svolgere il proprio lavoro, non ha più avuto rapporti sereni con lui negli ultimi mesi. La questione Totti ha contribuito ad allargare il solco fino a renderlo impraticabile. Spalletti aveva ragione nella sostanza, anteponendo la squadra ai desideri di un fuoriclasse però ormai relegato in panchina dalla carta di identità. Non ha avuto ragione, invece, quando ha parlato di Totti in termini che il più grande calciatore della storia giallorossa e che per 25 anni ha fatto innamorare un popolo intero, non meritava. I cronisti della Capitale al seguito della Roma non hanno fatto altro che raccontare la realtà, ma Spalletti ormai vedeva ombre da ogni parte.

A Milano dal punto di vista ambientale potrà forse lavorare con più serenità per una diversa comunicazione quotidiana sull'Inter, così come sul Milan. Pensiamo alla mancanza di radio che parlano delle squadre locali 24 ore su 24. Da quel punto di vista ci sarà meno materiale da commentare e bacchettare. Ma nello stesso tempo L'Inter rimane la pericolosa centrifuga per gli allenatori, come amava ripetere il grande Giovanni Trapattoni. E la storia, anche recente, conferma come solo tecnici grande personalità e carisma, oltre che bravi, tipo il primo Mancini e Joseè Mourinho, siano riusciti a guidare in modo trionfale la Beneamata. Gli altri, in un modo o nell'altro, sono tutti caduti di sella. Luciano Spalletti ora è in Cina a conoscere i suoi nuovi datori di lavoro. Presto conoscerà i giornalisti e poi i tifosi dell'Inter. Un consiglio: non faccia nulla di forzato per farsi voler bene. Bastano due cose: impegno e vittorie. E poi il coro della “Nord” partirà anche per lui.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 07 giugno 2017 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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