Quale prodigioso articolo è in grado di mettere d’accordo gli interisti sulle ragioni di questo tragicomico 2016? Ho percepito in partenza il sentore di questo pareggio che, col Verona, fa rima con sconfitta. Non ho fatto leva su capacità divinatorie e nemmeno maniavantiste ma sulla conoscenza diretta dell’oggetto Inter e dei suoi spersonalizzati interpreti. Ogni gara accade qualcosa che supera, in termini di psicanalisi, i livelli precedentemente raggiunti e matura la consapevolezza che questa squadra può fare anche peggio. Pareggiare contro l’ultima in classifica non è meno sorprendente di prendere tre gol su calcio da fermo, specie se manca tutta la difesa che ad oggi è solo Miranda. Stupisce poi vedere una squadra incapace di imbastire contromisure degne contro una che aveva segnato 11 gol su 16 su calci da fermo prima dell’Inter e subire le iniziative con una svagatezza e un'assenza di concentrazione insultanti per chi tifa Inter.
Ed è irritante vedere la straordinaria involuzione tecnica di alcuni giocatori: Telles non è in grado di battere calci d’angolo, punizioni e dunque di fare cross. Nagatomo ha il dono di essere un combattente ma anche di perseverare nel lasciare clamorosi buchi e crossare dritto contro gli avversari. Non è un particolare banale, tantomeno trascurabile perché se ci chiediamo come l’Inter realizzi così pochi gol, questo dato ci descrive ampiamente parte delle ragioni. Kondogbia al Siviglia e al Monaco era un giocatore più agile fisicamente e veloce mentalmente. Invece qui è macchinoso, incapace di darla di prima, come quasi ogni giocatore dell’Inter. Col Verona ha provato in tre occasioni il tiro dalla distanza e nel secondo tempo, con un modulo più congeniale, alcune iniziative di pura forza che hanno creato varchi per i compagni. Tuttavia Kondogbia resta un giocatore ancora inesploso e maledettamente incapace di comporre geometrie. Brozovic è sparito e Melo invece bulleggia in mezzo al campo con risultati disarmanti.
Se Eder in tre partite ha fatto zero reti e al Bentegodi ha disputato la sua partita peggiore la responsabilità è di Mancini, che non lo sta tatticamente mettendo in grado di fare quello che sa far meglio. Le scelte del tecnico anche questa volta, unitamente al modello comunicativo a cui si è legato, mostrano un ulteriore senso di frustrazione, di rabbia e di confusione che generano impotenza. Come fare a spiegare un girone d’andata tanto importante e uno di ritorno da serie B? Mancini oggi è sul patibolo, sono tra quelli che lo ha difeso e, ultimamente, attaccato per la plateale inversione a U della stagione, tuttavia non credo normale bruciare un allenatore (anche meno) all’anno ritenendolo disinvoltamente incapace ed esonerabile. Pur reputandolo colpevole di qualunque cosa, non è la fine del rapporto con lui la soluzione.
In cinque anni sono stati calpestati Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri e ora Mancini. Sette allenatori che hanno partecipato a clamorose disfatte, nonostante alcuni exploit. A torto o a ragione ognuno di loro è stato brandito come il responsabile dei fallimenti ma la realtà dice che non è cambiando un allenatore all’anno (Mancini è nerazzurro da 14 mesi) che si torna a vincere. Troppi cambi, troppi giocatori, zero identità e incredibili salti nel vuoto. Siamo troppo abituati, culturalmente concentrati a trovare colpe e mai a centrare le ragioni. Una di quelle che non viene mai affrontata da ogni nuova dirigenza nerazzurra nella storia è quella del progetto di gioco. Si ammonticchiamo allenatori su allenatori, si imbastisce un progetto temporaneo, della durata massima di un anno, si scelgono giocatori accrocchiati alla meno peggio e si spera che venga fuori qualcosa.
In realtà la società Inter da anni non tenta mai la via del gioco. Non viene mai scelto un progetto fondato su questa base. C’è questa rincorsa disperata al risultato che ovviamente non arriva quasi mai e quando arriva se ne va con l’allenatore che saluta (Mourinho), un'immolazione di giocatori e allenatori, imbruttiti da un peso schiacciante e non c’è mai una stagione in cui la società costruisca un valore che non sia frantumabile ai primi risultati negativi. Nonostante la dirigenza sia relativamente nuova, ancora oggi non esiste l’uomo forte della società. Via Mancini resta il solo Ausilio. Un po’ come questa squadra che da anni non ha più lo straccio di un leader ed è costretta a passare la fascia di capitano a giocatori inadeguati per temperamento ed età. E se non hai un capitano, un capitano vero, non hai nemmeno una squadra come dimostra la pochezza attuale degli approcci della squadra. In definitiva è necessario insistere con lo stesso allenatore ma con la presa d’atto che da giugno se, come pare, saremo in Europa league, sarà ora di comprare giocatori con maggior tasso tecnico e molto meno fragili e dunque vulnerabili di quelli attualmente in rosa.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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