L’Inter che ha vinto nettamente a Verona ha concesso un weekend sereno ai suoi tifosi. Un evento raro capitato solo altre nove volte nel corso del campionato. Mancini ha schierato una squadra ordinata anche tatticamente e i giocatori hanno recitato la loro parte correndo fino a sfinirsi un po’ troppo rapidamente. Fa rabbia vedere una squadra che dimostra in primi o secondi tempi di saper tenere il campo, di avere chiaro quello che deve fare, fa rabbia vedere una squadra che corre, pressa e merita il vantaggio dimostrando di avere un tasso tecnico migliore di quanto si mormori, in ogni reparto. Fa rabbia vedere la stessa Inter che improvvisamente spegne la luce, si rilassa e si scopre persino stanca.

In realtà ha energie nervose limitate, segno che per il tipo di giocatori in rosa non c’è attitudine per la concentrazione prolungata. Impossibile non chiedersi cosa impedisca a questo gruppo di restare per 90 minuti con la stessa identità invece di
cadere in un inspiegabile rilassamento in un momento qualunque del match. Mi ha fatto piacere vedere Hernanes, finalmente piazzato nel suo ruolo di trequartista, correre e trovare linee coraggiose in mezzo ad avversari che in diverse occasioni si costringevano a inseguirlo, increduli che quell’ometto fosse il Profeta. A metà del primo tempo è andato via a quattro (dico 4) giocatori in progressione con l’enfasi del giocatore in fiducia. Nel secondo tempo è calato drasticamente insieme a mezza squadra. Ed è stato un piacere rivedere Rodrigo Palacio unire l’intelligenza tattica all’efficacia dei tocchi e alla corsa che, a differenza dei compagni, è perdurata fino al termine.

Parlare dell’Inter non è mai banale, nemmeno in una stagione che non le dà più obiettivi apparenti se non quello di costruire una squadra di alto livello per il prossimo campionato partendo dalla stagione in corso. Perciò non è X-Factor ma poco ci manca visto che le selezioni per la new Inter sono evidenti. Gli interisti amano i condottieri, i lottatori e i giocatori di classe
certa, mai probabile. Il dubbio di avere a che fare con giocatori che rimangono a lungo, forse per sempre, delle vie di mezzo li precipita nell’insofferenza. Sopportano se la squadra vince, s’incazzano subito se la squadra non è competitiva. A questo proposito abbiamo già parlato, e riparleremo ancora, del futuro di Kovacic, Hernanes e Guarin ma sono due i giocatori che per motivi diversi richiamano la mia e la vostra attenzione.

Il primo è Handanovic, che viene messo clamorosamente in discussione. Intervistato a fine partita ha spiegato rapidamente che non ci sono stati passi avanti per il rinnovo di contratto. Lo ha detto col consueto stile secco e amaro che ha lasciato di stucco anche chi lo apprezza. Chi invece non lo ama sostiene che Perin, Cech e persino Bardi potrebbero coprire il ruolo più e meglio di lui. Lo ritengo un perno non solo e non certo per il quarto rigore stagionale parato ieri e gli interventi decisivi di questa e altre partite, ma soprattutto per la solidità che ha sempre mantenuto nonostante le stagioni tra le più disgraziate della storia nerazzurra. Troverei un clamoroso autogol cedere un portiere che meriterebbe didifendere la porta di un'Inter più forte. Non ha senso, non lo capisco e spero che la faccenda si risolva con la permanenza di Handanovic.

Un’ altra vicenda è legata a Brozovic, giocatore croato che nelle prime partite ha mostrato di avere le idee chiare, un senso euclideo delle geometrie e una notevole personalità. Passato il periodo promozionale, il ragazzo ha continuato a mantenere uno standard elevato in nazionale e sempre più bolso con l’Inter. Nella gara col Verona ha toccato 90 palloni, dunque più di ogni altro suo compagno, la maggior parte dei quali in orizzontale e al compagno nei pressi, è poi andato vicino al gol e ha fatto anche 6 recuperi. Nel complesso conosce meglio di chiunque la grammatica del campo ma gioca senza passione e senza illuminazioni. E l’Inter ha bisogno di giocatori che facciano cose sopra le media, non ordinarie. Mancini dovrà fare una
riflessione anche sul nuovo acquisto.

C’è comunque ancora un'atmosfera insolita, la vittoria è bella ma la storia recente di questa società ha spento quel senso di entusiasmo che per la maggior parte di noi è diventato “saudade” per un periodo storico recentissimo. Non ricordo molte squadre che siano passate dal trionfo prolungato al declino così rapido. È importante che Mancini, ormai manager e uomo immagine dell’Inter faccia una squadra a sua immagine e somiglianza che restituisca dignità a questi colori. Una squadra che lo segua e lo capisca.

In questo periodo è stato scritto che ci sono due anime in società, una italiana e una che parla rigorosamente in inglese. Interessa poco se non l’efficacia di una dirigenza che deve costruire senza giustificazioni una squadra solida e ambiziosa, rischiando qualcosa anche in termini di cessioni. Questo incubo del fair play finanziario non si capisce quanto impedisca a questa gestione di poter lavorare bene e quanto sia una giustificazione per temporeggiare. Presto sapremo. A Mancini il compito di fondere le due anime della società e di riportare tanti tifosi davvero entusiasti allo stadio.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 13 aprile 2015 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo
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