Colui che viene giustamente ritenuto il Padre (maiuscolo per rispetto) della lingua italiana, Dante Alighieri, scriveva: non c’è nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria. Potrebbe sembrare irriverente, parecchio irriverente direi, accostare Dante al pallone se non fosse che la sua frase calza quanto mai a pennello visto il periodo.

Perché, sincerità per sincerità, mi sembra che sia il tifoso interista il primo nemico della propria squadra. Ora, che la tournée in terra asiatica non sia stata una manifestazione nella quale la compagine coi colori del cielo e della notte abbia dato agio ai suoi tifosi di stropicciarsi gli occhi è un eufemismo, ma vivaddio parliamo di metà luglio e di amichevoli inutili. O, meglio, utili alle asfittiche (così dicono quelli bravi ed informati) casse della Beneamata. Che però, nessuno se ne fa una ragione ma è anche ora che si cominci a farsela (sempre una ragione), continua imperterrita nella rifondazione di un organico, ormai è palese, considerato non all’altezza del blasone della Società meneghina. Dicevamo, giretto in Cina e apriti cielo; sconfitta col Bayern…ci sta, organico fortissimo, una delle prime quattro in Europa, 60 e rotti minuti con tre titolari in campo, però…sconfitta col Milan…indecente, una vergogna, scandalo, loro scarsi noi ancora di più e via così, 60 e rotti minuti con le seconde e terze linee, ma il derby va vinto e basta…sconfitta col Real…ma come mette la squadra in campo, ma Kondogbia cosa lo abbiamo preso a fare, ma davanti non segnano neanche a porta vuota. Ecco, tenete presente che quanto scritto sopra non è frutto della mia immaginazione, sono considerazioni che potete trovare sui social targati Inter. Poco oltre la metà del mese di luglio, lo ripeto a scanso di equivoci. Con la squadra titolare che è ancora un cantiere aperto, con 15 giorni di preparazione sul groppone, con molti dei vecchi eroi (si fa per dire) della scorsa annata ancora a calcare il terreno di gioco. Annata che, forse a qualcuno è sfuggito, ci ha relegati ottavi in classifica. Sissignori, abbiamo perso con Real e Bayern con l’ottanta per cento della rosa del passato torneo e il derby con ragazzini che faranno il campionato primavera.

Però no. Però Mancini va cacciato.

Non è la prima volta che tocco l’argomento, ma è una di quelle cose che mi restano difficili da capire. Ecco perché ci torno spesso, spero sempre che qualcuno mi spieghi perché, ad esempio, ad un signore che in carriera ha vinto una (UNA) coppa Italia vengono dati 18 mesi di tempo e due estati di lavoro prima di allontanarlo a stipendio pieno, perché non mi risulta che ci sia stato qualche sconto, dopo un nono ed un quinto posto (NONO e QUINTO, avessimo detto primo e secondo ma poteva andar bene anche terzo e quarto o secondo e terzo), con un gioco che andavi al Meazza se soffrivi d’insonnia e ti abbioccavi comodamente, terga poste su quelle specie di sedili che aiutano semmai ad aumentare i dolori lombari. Cito colui che ha preceduto Roberto Mancini in panchina ma potrei citarne anche altri. Che, perlomeno, hanno avuto l’opportunità di preparare la stagione; poi magari fallita per demeriti propri o perché non adatti all’ambiente nerazzurro. Che non è quella casa nella prateria, beninteso.

No. Mancini va allontanato perché sopravvalutato (ma si, ma chissenefrega di uno che ha vinto tredici trofei da quando ha iniziato ad allenare, li ha vinti tutti per caso e per fortuna, Mancini ha culo, mica è bravo).

A luglio.

Con una squadra ancora da completare, con una vera rivoluzione in atto.

Però questo è, se lo vogliamo vedere da una prospettiva differente, il bello del gioco del calcio. Dove tutti sono allenatori, tutti selezionatori, tutti giocatori, tutti critici, tutti addetti ai lavori. Ma in quale altro sport accade questo? In quale altro sport chiunque può dire la sua; in tutti i casi non sarà mai sbagliata ma solo e soltanto un punto di vista diverso da quello di qualcun altro. E poi ci chiediamo, si chiedono, perché il calcio è lo sport più seguito al mondo. O il più praticato.

Torno a ripetere le frasi che, autunno del 2009, imperversavano sui social di matrice nerazzurra. Accanto a molti schierati apertamente con Mou, io mi strabullo e stravanto di non aver mai tentennato seguendo i dettami di colui che ci ha regalato un orgasmo sportivo difficile da far comprendere a chi non lo ha provato direttamente, esisteva un partito, nemmeno tanto piccolo, di quanti desideravano la cacciata del Vate di Setubal. Basta avere un pizzico di pazienza ed andare a ricercare i post dell’epoca. Io l’ho fatto e, rileggendoli, ridevo tra me e me. Non sorridevo. Ridevo proprio. Perché immaginavo quelle stesse persone in macchina col bandierone a festeggiare.

Effettivamente, anche se a mio parere le cose stanno pian piano migliorando, gli iper critici fanno parte della storia della tifoseria nerazzurra. Attenzione però; essere critici verso un allenatore o un giocatore non significa essere disfattisti a prescindere. Quando le critiche sono costruttive, hanno un senso, una logica, allora danno adito ad un dibattito intelligente che è il sale del pallone. No, nessuno intende per così dire “bacchettare” (uso questo verbo perché rende meglio l’idea e non perché io pensi di essere nella posizione di riprendere qualcuno, e ci mancherebbe pure) chi critica; anzi.

Sono le frasi generaliste, populiste, quelle che non mi piacciono. Il…cacciamo Mancini…o…arriveremo decimi quest’anno…le trovo prive di fondamento perché pronunciate in un periodo nel quale ogni allenatore sta sperimentando per trovare la quadratura del cerchio. Ricordo sempre, repetita iuvant, che la scorsa estate facemmo sfracelli in terra statunitense. Salvo essere spernacchiati e vilipesi per il resto della stagione.

Ma tant’è, molti non hanno la memoria dell’elefante. Si limitano a quella del pesce rosso, a brevissimo termine.

Amatela! Sempre.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 31 luglio 2015 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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