Mancano sette giorni all’appuntamento del derby e sarebbe stato preferibile che il Milan ci arrivasse più rilassato e non ad un’ipotetica ultima spiaggia, almeno per Montella. La settimana che porterà l’Inter dalla stracittadina alla sfida al San Paolo contro il Napoli, sarà finalmente quella che darà una cifra più esatta della realtà nerazzurra. L’inizio di stagione ha portato a giudizi che hanno regalato una dose di ottimismo e positività capaci di travalicare il senso di una realtà meno esaltante. Impegnati come siamo, ognuno nel proprio orticello, a guardare al nemico con diffidenza, concentrati a difendere più la nostra squadra da una stampa contraria e uno sfottò compulsivo che ha preso il posto del ragionamento e del rispetto.

Parlare di calcio non interessa più a nessuno, se non in 140 caratteri di cinismo o pontificando in vari social. Non ci sarebbe nulla di male nel riconoscere che l’Inter ha giocato la prima contro una Fiorentina tutta da costruire, che con la Roma ha avuto più di quello che meritava, che a Crotone e Benevento ha giocato a velocità da pensionato e ha vinto con individualità più che con una costruzione di un gioco. Non c’è niente da temere se, esaltandosi per una classifica da Inter (ai primi posti), si abbina un realismo che non impedisce di inorgoglirsi. Perché negare che l’Inter costruisce poco, gioca in modo prevedibile e dà la sensazione di avere problemi a centrocampo? È immaginabile che questa squadra, con Milan e Napoli, si scopra solida ed esaltata nella sfida contro formazioni più forti. Così come è possibile che l’Inter raggranelli uno o zero punti e precipiti di nuovo nel consueto dilaniamento taffazesco, nel ridimensionamento di Spalletti e nella tensione da delusione senza ritorno che, da troppi anni, ammorba questo club.

Il punto è infatti capire come l’Inter perderà, se lo farà con modalità irritanti, sfaldandosi o facendosi rimontare per manifesta mancanza di personalità, come nell’ultimo derby. Sarà soprattutto importante capire come metabolizzerà le prime delusioni, la prima sconfitta e ne capirà l’insegnamento. C’è qualcosa che infatti unisce la situazione dell’Italia di Ventura alla storia più recente dell’Inter. Invece di andare a fondo dei problemi in entrambi i casi si preferisce pensare che se si vince, anche male va tutto bene, con approssimazione, superficialità. È vero che temo molto la mia Inter, guardo a tutto ciò che la circonda con più severità del passato, più sfiducia soprattutto, proprio per l’andamento delle stagioni dal 2011 ad oggi, con quell’incredibile approccio ai problemi che invece di essere affrontati sono sempre minimizzati, rinviati o rimbalzati, utilizzando l’attenuante dell’allenatore come responsabile principale di uno stato delle cose. Guardo con sospetto l’Inter perché la netta sensazione è che la società lotti per arrivare in Champions più che per vincere lo scudetto.

C’è tanta real politik nella gestione del gruppo Suning, tanti apprezzabili sforzi nel rendere la società più solida ed economicamente indipendente ma manca la dimensione del sogno, quella che ti permette di andare oltre. Di tante Inter che ho visto e seguito questa è quella più impermeabile, algida e fredda. Rassicurante nella sua progettualità, meno umana e composita nel suo rapporto con l’esterno. Tornando all’aspetto tecnico mi piace lo Spalletti aggregatore, furbo, che si sente parte del progetto. Anche con lui resto in allerta, in attesa di vedere se, al primo momento buio sbroccherà in sala stampa prendendosela coi giornalisti o conserverà questo aplomb che trasmette sicurezza e sa navigare anche in acque agitate. Milano ha fatto invecchiare precocemente parecchi tecnici e imbrocchito tanti giocatori, per questo credo nel bivio che porta alla sconfitta, il più tardi possibile qualora dovesse arrivare, come metro di misura sulla reale consistenza che fino ad oggi ha trovato un mare calmo.

Quanto a Gagliardini e la sua presunta involuzione mi sembra evidente che il giocatore sia cresciuto troppo in fretta, in mezza stagione all’Atalanta, trasportato d’ufficio nella scorsa Inter e trovatosi in questa, stia mostrando una normalità, un assestamento verso il basso come uno che ha dovuto crescere in fretta e non ha avuto il tempo di completare la maturazione. Quello visto con la maglia azzurra non è molto diverso da quello visto all’Inter. E l’uomo giusto, nel posto giusto ma senza quelle doti che avrebbe dovuto completare. Non verticalizza, non tira ed è banale nei passaggi, ma copre, è ordinato ed è in ruolo che occupa con saggezza. Per essere un giocatore di livello internazionale ci vuole di più e avrà soprattutto questa stagione che per lui è molto più importante di quanto creda, per dimostrare se merita Inter e Nazionale. Il bivio c’è anche per lui e le due partite con Milan e Napoli, saranno utili per capire in che man… pardon piedi siamo. Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 09 ottobre 2017 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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