E ci risiamo. Già, pensate che fino ad un mese e mezzo fa eravamo una favola del calcio italiota, di quelle favole dal lieto fine col principe, i cattivi sconfitti, il bene che trionfa. Tutti a fare selfie, tutti sorridenti ed eccitati nel vivere la storia di una annata strepitosa. Incredibile. Davanti a vere corazzate in ambito nostrano. Sei punti a quella, quattro a quell’altra, una decina alla terza e non parliamo nemmeno delle restanti, fuori dai radar per manifesta inferiorità. I media che esaltavano chiunque o qualunque scelta societaria. Tutti mostri di bravura, tutti anni luce avanti. Uniti e compatti; tutti per uno ed uno per tutti. Roba che d’Artagnan, Athos, Porthos ed Aramis erano dei dilettanti al confronto. Un mese e mezzo fa. Mica un lustro.
Raccontano gli psicologi che chi non è ricco e vince un’ingente somma di denaro tende a disperderla in un breve lasso di tempo, disabituato com’è a maneggiare soldi; ecco, nel nostro caso potremmo tranquillamente affermare che gli eroi pallonari con la maglietta nerazzurra, disabituati non per concetto ma proprio perché il curriculum parla per loro (fatta salva qualche rarissima eccezione) a posizioni di alto rango, abbiano sottovalutato i pericoli che si celavano dietro ad una lunga serie di complimenti. Languidi ammiccamenti sotto cui si celava il veleno che, ai primi passi falsi, è stato puntualmente scaricato in quantità industriali sulla povera truppa del generale Mancini. Peggio di Custer a Little Big Horn. Attirati in un bel trappolone mediatico prima, circondati e massacrati poi. E così l’Inter dei Miracoli, la Società che tanto bene si era mossa sul mercato estivo con operazioni mirate, formule magiche made in Ausilio, nuova dirigenza dalle idee chiare e precise, si è improvvisamente trasformata nella zucca di Cenerentola. Altro che carrozza trainata da cavalli bianchi. E giù duro, ormai siamo ad un passo dal baratro, dalla serranda abbassata col cartello “chiuso per fallimento” in bella mostra. Attenzione, tutte notizie che ciascuno di noi ha potuto leggere o ascoltare nelle giornate precedenti, mica roba che ci stiamo inventando adesso qui sopra.
Nell’ultima settimana mi sono reso conto che di tanto in tanto, alla bisogna, anche il mio fruttivendolo (napoletano verace lui) diventa un bocconiano doc, spiegandomi come esattamente deve essere letto un bilancio. Un susseguirsi di economisti che si affannano a raccontare i pericoli di una cattiva gestione; cioè, di colpo tutti quanti si sono scoperti assidui frequentatori dei corsi di alta finanza ed economia ad Harvard o a Berkeley. Oppure, giusto per non trasvolare l’oceano perennemente, qualcuno è rimasto legato alle più vicine Oxford o Cambridge. Oh, intendiamoci, che la situazione dell’Inter non fosse florida lo sapevamo tutti; non c’era bisogno che qualche novello Yuriy Gorodnichenko (il massimo che c’è tra i giovani rampanti) o, giusto per restare in casa nostra, la Veronica Guerrieri di turno ce lo confermassero. Lo sapevamo già e, in tutta sincerità, mi sono financo un pochino rotto di ricordare l’assurdo post 2010. Inutile riparlarne, semmai giusto ricordarlo per i nostalgici di una vecchia epoca che tutti o quasi ci auguriamo possa non ritornare. A livello di abilità gestionale societaria, ovvio. Pertanto abbiamo (anzi, hanno) stabilito che quelli additati fino a poco tempo fa alla stregua di maghi del mercato calcistico e della finanza hanno vestito i panni degli incapaci in un amen. Cioè, spiegatemi bene: geni ieri, inetti oggi? Fantastico. E, soprattutto, credibile.
Lasciando perdere questi frizzi e lazzi riprenderei per qualche riga il concetto che avevo espresso la scorsa settimana; il problema dell’Inter, attualmente, è l’assenza non tanto di una strategia o di un “progetto”, termine che mi provoca violenti attacchi di orchite, quanto piuttosto la mancanza di un uomo forte in seno alla Società stessa. Uno che conosca i meccanismi del pallone italiota, uno che si sappia muovere tra le onde quando il mare inizia ad incresparsi. Uno che ci metta il faccione senza troppi peli sullo stomaco. Gli acquisti di ET sono stati orientati più allo sviluppo del brand, altra roba che aumenta considerevolmente gli spasmi colitici un po’ in tutti noi; i personaggi che attualmente siedono dietro le scrivanie più prestigiose in casa nerazzurra hanno zero esperienza sul campo. Bravissimi ciascuno nel proprio, sia ben chiaro; ma senza il contatto diretto quotidiano con tutto ciò che circonda l’universo nerazzurro inteso come rapporti con la stampa e con i tifosi. E, lo dico con un filo di rammarico, accentrare tutto sulle spalle di Mancini non porta giovamento alla lunga. Anzi, semmai aiuta il tecnico a sbagliare oltre i normali errori che si compiono senza stress ulteriori sul groppone.
Sì, insomma, è stata una settimana già vista e rivista. Trita e ritrita. Vissuta e rivissuta. Ma possibile che nessuno sappia inventarsi un modo alternativo per criticare l’Inter? Che noia che barba, che barba che noia. Amatela, sempre! Buona domenica a Voi.
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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