È di nuovo tempo di mercato, è di nuovo tempo di isterismi. Il campo, se alle porte non ci sono Milan, Juve o giù di lì, finisce sempre per interessare poco, interessare meno. Ciò che conta è la bulimia, ciò che conta è avere tanti nuovi giocattoli sotto l’albero, lanciando contro il muro quelli che ci hanno regalato soltanto pochi mesi fa semplicemente perché ce li aspettavamo più belli. E poi, vuoi mettere, il nuovo giocattolo è sempre più desiderabile del vecchio; peccato che, tempo qualche mese, il nuovo sarà il vecchio, e via così più o meno all’infinito. Ok, è un personalissimo sfogo, peraltro non richiesto. Dal mercato arrivano anche correzioni opportune, migliorie, persino da quello invernale -chi può dimenticare Stankovic, il ritorno di Adriano o l’arrivo in sordina del futuro tripletista Pandev. Giustamente, poi, il mercato è la fabbrica dei sogni: giustamente se ne vuol sapere sempre di più, giustamente se ne parla e se ne scrive sempre di più. L’offerta si adegua alla domanda, bellezza, e viceversa.

Tutto giusto, tutto umano, tutto istintivo e dunque comprensibile. Ciò che qui si vuol discutere è l’eccesso, il rovesciamento delle priorità, laddove 40 punti in 17 partite e la non facile trasferta di Sassuolo finiscono bellamente all’ombra di un mix micidiale, che unisce una sconfitta beffardamente arrivata ala vigilia di gennaio e il mercato di riparazione, di per sé il più difficile e frustrante di tutti. I piccoli difetti diventano allora voragini da riempire con pullman di nuovi acquisti da dirottare su Appiano, gli allenatori finiscono per essere tempestati di domande e qualche risposta sincera devono pur darla, la bolla scoppia ed è un bel caos. I nuovi interrogativi, nati generalmente dall’improvvisa svolta al ribasso dell’estate scorsa, hanno come bersaglio l’impegno di Suning e la sua reale volontà di far grande l’Inter. Col mancato arrivo di pezzi da novanta sul mercato, e a una nuova finestra che si preannuncia a impatto zero – o quasi – sul bilancio, fanno il paio le questioni più meramente finanziarie e politiche, dai bond al nuovo giro di vite sull’esportazione di capitali cinesi. Risultato? Panico.

Che l’emissione di bond sia pratica comunissima nella politica di aziende importanti come e più dell’Inter, è un dato noto persino a chi, come il sottoscritto, su certi terreni si muove col passo esitante e umile di chi ha molto da imparare: a maggior ragione, magari, un’occhiata in più sui siti specializzati non guasta, e così si va a scoprire che il cda di Pirelli – toh, proprio Pirelli, il main sponsor nerazzurro, il cui azionista di maggioranza è il gruppo cinese ChemChina – ha autorizzato proprio nella giornata di ieri l’emissione di uno o più prestiti obbligazionari per un importo che può spingersi fino al miliardo di euro. Cifre diverse, contesti diversi. Ciò che si discute resta però il panico, e la conclusione negativa che sembra quasi implicita e che finisce per sostenere, con approssimazione e volgarità, che la proprietà nerazzurra “paga i debiti con altri debiti”, o direttamente “non paga i debiti”.

Dalla Cina, intanto, giunge ancora il rumore di una serranda che si chiude, e ancora ieri Calcioefinanza ha reso noto un documento ufficiale con cui si confermerebbe l’impatto negativo sulla gestione economica nerazzurra che avrebbe il giro di vite attuato da Xi Jinping sull’esportazione di capitali dal paese asiatico, con un occhio particolare agli investimenti esteri nel settore sportivo. In breve, tali operazioni andranno in futuro approvate da specifici organi di controllo della Repubblica Popolare, laddove in precedenza esse andavano soltanto notificate. È possibile che ciò faccia sentire i suoi effetti sul bilancio nerazzurro, dato che in Corso Vittorio Emanuele si attendono ancora alcune somme derivanti dalle sponsorizzazioni contratte di recente in Cina. Le versioni, su questo punto, son peraltro molto contrastanti, ed esiste chi, con buona dovizia di particolari, afferma che tale stretta sia in realtà soltanto volta a contenere manovre poco chiare e giri di capitali che son ben lontani dall’esser limpidi. In attesa di capirci di più, c’è senz’altro da registrare la presenza di un ingombro nel corridoio dorato che da Nanchino doveva portare vagonate di yuan a Milano, e questo ingombro – d’altra parte – aveva già in qualche modo fatto sentire la sua presenza nell’estate scorsa.

Il calcio, finalmente, ‘aria!’, con quelli che toccano la palla di suola e ti fanno innamorare. Penso a Pastore, ad esempio, o al funambolo Mkhitaryan, sublime dicitore ma bella testa calda, e un po’ il suo eventuale arrivo mi attrae, un po’ mi spaventa. Sul mercato nerazzurro vige un limite che, in qualche modo, viene ancor prima dei discorsi di cui sopra, ed è un limite che nessuno vuole aggirare, ché non conviene. L’Inter è infatti ancora sottoposta al Settlement Agreement, tema tanto in voga in questi giorni sull'altra sponda del Naviglio, e semplicemente non può fare quello che le pare. Se il FFP non esistesse, probabilmente, non potrebbe allo stesso modo, visto quanto detto finora, e infatti ha fatto come voleva nell’estate 2016, la prima di Suning, e ha dovuto poi inventarsi la qualunque pur di tornare a rispettar le regole. Ventilare spese pazze è consapevole mendacia, chiederle è divertente imbecillità. Eppure, esistono prove, anche belle e recenti, di squadre allestite con grande esborso e grande pompa, sfilate e clamore mediatico, e poi finite miseramente sepolte dalle contraddizioni generate anche da questo modus operandi allegro e disinvolto. Al contrario, esiste chi vince da sei anni portando avanti un regime di perfetto autofinanziamento, eppure spendere resta più eccitante, e chi non spende è più brutto, è più scemo e magari ha anche la moglie libertina. Magie della passione che acceca, almeno speriamo. Altrimenti, sarebbe più grave.

Per ricapitolare, si possono far grandi squadre anche con l’autofinanziamento. La crescita sarà più lenta, forse, ma questo metodo è la regola per il successo, più che l’eccezione: PSG e City, forse, son le uniche che ce l’hanno fatta a colpi di mattane, ma la Champions la cullano ancora al caldo dei propri letti, dopo aver mangiato pesante. Il rifinanziamento del debito è una pratica comune. E ancora, c’è il FFP e soprattutto qualcosa che bolle in pentola dall’altro capo del mondo, dunque dovremmo iniziare a pensare di affidarci alla bravura, più che alla munificenza. Bisogna imparare a far da soli, insomma, come fanno i più grandi. E invece no: volevamo chi comprasse Neymar (salvo, forse, rivenderlo l’anno prossimo), volevamo una proprietà che il debito lo estinguesse in qualche minuto, volevamo i vertici dell'UEFA ad esultare con noi sotto la sede per dieci-undici acquisti da cinquanta milioni l’uno. Volevamo Babbo Natale, insomma, ma Babbo Natale non esiste.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 22 dicembre 2017 alle 00:00
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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