Il calciomercato ai tempi dei social sta raggiungendo un livello di pervasività incontrollato. A tal punto da generare nell'utente medio di questo circo mediatico allestito per quattro mesi l'anno un fabbisogno di notizie mai conosciuto prima. Inutile dire che questa bulimia di nomi nuovi spiattellati h24 dagli esperti in giacca a cravatta di turno finisca, alla fine della fiera, per far perdere il senso della realtà ai veri fruitori, che ora – grazie ai potenti mezzi mediatici di cui dispongono – si arrogano con superba presunzione pure il diritto di sdottorare su temi dei quali non hanno mai avuto alcuna competenza. Seguendo le vicende minuto per minuto, i suddetti soggetti si credono i veri attori protagonisti di un mondo che solo qualche anno fa era giustamente inaccessibile. Il risultato, nostro malgrado, è la confusione dei piani, il solito mescolamento dei ruoli che non tiene conto delle competenze, ma mette sullo stesso piano dirigenti sportivi di grande esperienza e l'uomo della strada che combatte con lo scudo dello schermo e le armi da tastiera.

Ma da dove nasce questo disordine? Il peccato originale è stato commesso nel momento in cui si è fatto passare il concetto secondo il quale il calciomercato come una specie di divertimento in cui si muovono i giocatori come pedine di un gioco da tavola per famiglie, un Football Manager in 3D. Sarà un discorso banale, ma non è così: gli affari nel mondo del calcio sono faccende serie, in cui subentrano talmente tante variabili che è persino puerile ridurre tutto a "perché hanno preso quello e non questo?".

E allora partiamo dall'Abc: le parti in causa di una trattativa sono almeno quattro, il che ci fa capire che concludere o meno il trasferimento di un calciatore X è legato a diversi imprevisti. Può esserci la disponibilità economica del compratore unita alla volontà del giocatore di andare in quella determinata squadra, ma il tutto non va in porto per 'colpa' della società che non ha necessità di cedere. Vi dice niente il caso Perisic-United? Ecco, ora ribaltiamo l'esempio e prendiamo in esame le situazioni in cui l'Inter si è vista rispondere 'picche'. Sta succedendo con Dalbert (il Nizza pretende il pagamento della clausola da 30 milioni di euro), Davinson Sanchez (Overmars, ds dell'Ajax, ha fissato il prezzo a 40 milioni) e, infine, Julian Brandt, giocatore per il quale il Bayer Leverkusen non ha nemmeno voluto continuare le comunicazioni con Piero Ausilio.

Non è accaduto niente di tutto questo, invece, per Milan Skriniar, ma lì il duo Sabatini-Ausilio ha usato Gianluca Caprari come cavallo di Troia per penetrare le difese della Sampdoria di Massimo Ferrero. Un'operazione che, oltre a essere stata dettata dall'impellenza di fare una plusvalenza in ottica Fair Play Finanziario, ci informa che i prezzi sono ormai dopati in ogni angolo del mercato, anche quando vai a bussare alla porta di una squadra con mezzi economici decisamente più ridotti dei tuoi. Finirà in modo inedito rispetto alle situazioni sopracitate l'affare Borja Valero, per il quale subentra inesorabilmente il fattore carta d'identità: i 32 anni dello spagnolo, infatti, abbassano di molto il prezzo del suo cartellino a tal punto da portare a credere i nerazzurri che la spesa valga l'impresa. Anche in questo caso, però, sempre a suffragio della tesi dell'imponderabilità del mercato, le lungaggini della contrattazioni si sono puntualmente palesate per problemi indipendenti dall'Inter; ieri sera, però, dopo un tira e molla tedioso, è stato trovato il punto di rottura tra le parti, assist perfetto per l'Inter per chiudere, pur non senza patemi, un'operazione con la Fiorentina dopo tempo immemore. 

E in tutto questo bailamme di notizie cosa rimane? La calma e gesso predicata dalla dirigenza della Beneamata, che non ha fretta di (s)vendere né di comprare a vanvera, magari riempiendo le tasche degli intermediari di turno. Una lezione che Suning ha imparato sulla propria pelle la scorsa estate e che ora sta mettendo in pratica con i suoi uomini di fiducia. Intanto, in questo strano humus che si sta formando fuori dal mondo interista, proliferano strane figure come lo sconosciuto che scrive su WhatsApp a Piero Ausilio aggiornandolo la lista dei nomi accostati all'Inter negli ultimi 6 mesi. Siamo a 350, Piero dixit. Ecco, non sarebbe l'ora di darci una calmata? Serve una comunicazione seria e onesta da parte di tutte le parti in causa, agenti dei giocatori compresi: in questo senso, accogliamo con immenso favore la proposta del decano dei procuratori Giovanni Branchini di ridurre sensibilmente la finestra temporale dedicata agli scoop sotto l'ombrellone e l'albero di Natale. Un primo passo verso la smitizzazione di un fenomeno nato da un'idea originale dell'inconsapevole principe palermitano Raimondo Lanza di Trabia. 

Sezione: Editoriale / Data: Ven 07 luglio 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print