"Sono nato con il cuore nerazzurro perché certe cose i genitori le passano ai figli e vinse la fede di papà Luigi e di mio fratello Francesco, non quella di mamma Maria che tifa Juve". Domenico Berardi lancia messaggi più o meno chiari nella sua intervista alla Gazzetta dello Sport proprio alla vigilia del match di San Siro. "Da bambino mi riempì gli occhi Ronaldo il Fenomeno, a 15 anni toccò a Milito: la sera di Madrid presi la mia bandiera e andai con gli amici a festeggiare. Ogni ragazzino che ama il calcio ha una squadra del cuore, no? Il mio tifo l’ho dichiarato in tempi non sospetti, ben prima che si iniziasse a ipotizzare l’Inter nel mio futuro. Normale: leggo che mi seguono, nel loro progetto ci sono nuovi acquisti e possibilmente italiani, per forza se ne parla. Ma io non ne parlo, a fine stagione si vedrà", prova a smorzare i toni.

SUI COLPI DI TESTA - "Una volta la vena mi si tappava al terzo fallo subito, se arrivavo al quarto era tanto: era più forte di me, prendere botte mi mandava al manicomio. Adesso non sono diventato un santo, ma credo di aver imparato a controllarmi. E' una promessa che ho fatto, solo a me stesso, la sera della gomitata a Juan Jesus (Inter-Sassuolo, settembre 2014). Sono arrivato a casa e ho acceso la tv, volevo rivedere quella reazione. Ho spento e mi sono detto: 'Quello non sei tu, è un'altra persona: per quanto ancora vuoi passare per quello che non sei?'. Fu un'autosqualifica ben più importante dei tre turni del giudice".

SUL NO ALLA JUVENTUS - "In realtà, per come lo dissi io, non fu un 'no': fu un 'sì' al Sassuolo, il 'sì' che a loro fra l'altro non avevo mai detto. Eravamo appena andati in Europa League: volevo giocarla con i compagni con cui me l'ero presa, volevo crescere un altro anno. E poi sì, è vero: a me piace tanto giocare e poco fare quello che mi dicono di fare. La Juve non mi ha costretto a far nulla, ma spingevano molto perché io andassi: per me era una specie di imposizione. E quanto avrei giocato? Mi avrebbe fatto bene tanta panchina, così giovane? Confesso: l'esempio di Zaza un po' ha pesato. Ho contato i minuti che Simone aveva giocato lì, e ho tirato il freno".

SUI CAMBIAMENTI - "Non amo le novità e in genere gli spostamenti. Se la mia carriera è decollata più tardi è stato anche per questo. Però mi toccherà abituarmi e sto migliorando: è già un passo avanti il fatto che io accetti l'idea che prima o poi dovrò cambiare città e gestire le novità di questa svolta. Diciamo che ho cominciato a pensarci".

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Dom 14 maggio 2017 alle 08:15 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
vedi letture
Print