La Gazzetta dello Sport propone un'accurata analisi sull'attualità del calcio europeo, radicalmente cambiato dopo l'ingresso sul palcoscenico continentale del FFP Uefa. "C’è un’Europa a due velocità anche nel calcio. È quella del fair play finanziario dell’Uefa, che si preoccupa di dare stabilità al sistema, con il merito evidente di aver allontanato lo spettro dei debiti - si legge -. Peccato che quest’attenzione per i conti abbia cristallizzato i rapporti di forza, stratificando il potenziale tecnico ed economico dei club. È vero che la Juve fa storia a sé e si è già conquistata con merito un posto nell’Olimpo, ma tutte le altre nostre big balbettano quando devono fare i conti con il monitoraggio dell’inquisizione di Nyon. Sono benvenute le recenti innovazioni del fair play 2.0 che vanno nella direzione della trasparenza e mettono alle strette le nuove forme di elusione. Nulla da dire, lo spirito è quello giusto, ma nessuna di queste norme entra nel merito del vitale diritto alla libera concorrenza. Con questa formula chi è già ricco è aiutato ad arricchirsi sempre di più, ma a chi sta dietro manca il fiato per inseguire il gruppo di testa. Come dimostra il caso Psg, la ristretta cerchia delle grandi ha dei margini di crescita ormai inarrestabili, mentre chi è sotto il target dei 400 milioni di fatturato non riesce a vedere la luce. L’attuale sistema è perverso perché lega la crescita di un club esclusivamente al lievitare dei ricavi".

E l'Italia? Per la rosea è un'anomalia. "E paga soprattutto il declino di Berlusconi e Moratti. Inter e Milan faticano a riprendere quota a dispetto di un brand ancora importante. Senza entrare nel merito delle vicissitudini di Mister Li e dell’attesa per il verdetto sui rossoneri, la stessa famiglia Zhang (che pure ha dimostrato solidità) deve sottostare a costanti controlli. La prossima settimana il management nerazzurro negozierà in Svizzera le nuove condizioni. E dire che l’Inter è formalmente in uscita dal tunnel dell’ultimo settlement, ha fatto i compiti con diligenza, ma gli esami non finiscono mai. Senza appellarsi al concetto delle deroghe (già note all’UE), non sarebbe più semplice concedere una wild card ai club ri-emergenti? Nel 2009 Platini concepì il fair play per frenare le manie di grandezza di Florentino Perez. Quasi 10 anni dopo il Real è sempre più Real. Possibile che l’Italia non trovi i suoi spazi vitali?".

La Gazzetta, inoltre, puntualizza anche che "senza il fair play Uefa, il calcio europeo oggi sarebbe molto diverso e, probabilmente, peggiore. Con sceicchi arabi e oligarchi russi che potrebbero comprare una squadra di 11 Neymar non preoccupandosi delle spese (proprio il contrario di quello che ha in mente Ceferin per il futuro). E, dall’altra parte, senza più alcuni club che sarebbero già falliti, travolti da debiti insostenibili. Chi dice che il fair play ha creato disparità non ha tutti i torti. Perché il regolamento ha 'fotografato' la situazione in un dato momento. Rendendo più complicato il recupero di chi era in affanno. Quelli che stavano bene potevano spendere sempre di più, in un circolo virtuoso di guadagni, investimenti, spese, guadagni, mentre quelli messi male… Un po’ come succede con la Champions. Ma era anche colpa di quelli messi male, della loro cattiva gestione, di un management allegro. Il City non c’era nel 2010, ma ha investito bene i suoi petrodollari. Il Milan all’epoca aveva gli stessi ricavi del Real. C’è chi ha colto le opportunità di mercato, chi no. E comunque Platini, artefice della riforma con Infantino, ha sempre detto: «Sono stati i Moratti e i Berlusconi a chiedermi il fair play, così almeno potranno giustificarsi se non possono più spendere». Mai stato smentito".

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Sezione: Copertina / Data: Ven 08 giugno 2018 alle 10:55 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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