Esattamente dieci anni fa un certo Pelé decise di inserirlo nella lista dei 125 migliori calciatori viventi, logica conseguenza di una carriera che lo vide imporsi come uno dei centravanti più forti dell'intero panorama calcistico mondiale. Nel 2004 la sua avventura non era ancora terminata, davanti a lui c'erano ancora tanti traguardi da raggiungere, gol meravigliosi da realizzare e i trofei con l'Inter di Mancini prima e Mourinho poi da alzare al cielo. Anche Parma 'di ritorno' lo aspettava, la tanto adorata 'casa' calcistica che lo lanciò nel 1996 facendolo diventare 'grande tra i grandi'. Bastava ammirare i suoi gol per innamorarsi di questo sport meraviglioso: le magie di tacco, gli stacchi di testa imperiosi, la cattivera sotto porta e una positività, un sorriso dentro e fuori dal campo che con il passare del tempo è diventata sempre più merce rara nel mondo del calcio. Un vero numero uno, il bomber, il capocannoniere, oggi lo chiameremmo top player. Una star del calcio che anche il popolo interista ha potuto ammirare.
Hernán Jorge Crespo, attuale commentatore del calcio internazionale per Fox Sports, si è raccontato in esclusiva ai microfoni di FcInterNews.it, concedendo una bella intervista in cui ha ripercorso l'approdo a Milano nell'estate 2002, le due esperienze con la maglia nerazzurra, il rapporto con Mancini e Mourinho, due dei tanti 'maestri' incontrati in carriera, senza tralasciare l'attualità, con l'ormai prossimo addio di Diego Milito che sta vivendo una situazione molto simile a quella di Valdanito durante la stagione 2008-2009, la prima 'targata' Mou.
Crespo, qual è stato il momento più bello della prima esperienza all'Inter?
"Direi l'impatto con il 'mondo' Inter, con questa voglia assoluta di vincere ogni singola partita, ogni vittoria coincideva con una festa, c'era proprio 'fame' di vincere. C'era 'sete' da parte della gente di vedere la squadra vincere qualche trofeo e in quel momento, ripeto, ogni signola partita era veramente come se fosse una festa. Quell'impatto e quell'empatia che si erano creati tra il pubblico e me è stato veramente molto bello".
Per quanto riguarda il ritorno a Milano nell'estate del 2006?
"Senza dubbio lo Scudetto dei record, quello è stato 'tanta roba' perché era una vittoria che io inseguivo da una vita, spesso in passato ero arrivato secondo, anche se poi abbiamo capito la causa (ride, ndr), ma lasciamo stare. Aver vinto quel campionato con l'Inter è stato bellissimo".
Hai fatto tantissimi gol con la maglia nerazzurra e molto importanti. Qual è stato quello a cui sei maggiormente legato e quello che reputi il più bello?
"Non saprei. Non so se c'è un gol in particolare, direi forse alcune situazioni. La gente è molto legata alla doppietta contro l'Ajax in Champions League (Amsterdam Arena - 12/11/2002, ndr), ma non capisco il motivo. Certo, sono stati gol bellissimi, ma successivamente ho avuto la possibilità di segnare altre reti in tante partite importanti. Mi ricordo la rimonta contro la Roma (Supercoppa italiana 2006, ndr): eravamo sotto 1-3 a fine primo tempo, entrai nel secondo tempo e siglai il 2-3, prima che Figo completò la rimonta e vincemmo la gara. Ci sono anche altri gol da ricordare contro la Roma, poi in quel periodo spesso lottavamo per traguardi importanti, eravamo sempre primi e secondi. Porto nel cuore anche l'ultimo gol segnato con la maglia dell'Inter, quello a Verona contro il Chievo nel 2009, una rete che, insieme ad alcune coincidenze di risultati, ci ha permesso di vincere lo Scudetto. È riduttivo citare solo questi episodi, c'è molto di più: io porto con me tanto, tanto, tanto, soprattutto tantissimo affetto".
Nella tua carriera hai avuto la fortuna di essere allenato da due allenatori che hanno fatto la storia, non solo recente, dell'Inter, ovvero Roberto Mancini e José Mourinho. Potresti farci una sorta di confronto tra i due tecnici?
"Prima di tutto ci tengo a dire che, personalmente, ringrazierò sempre Mancini per avermi dato la possibilità di tornare all'Inter dopo l'esperienza al Chelsea. Mi ha fatto tornare e mi ha dato la possibilità di essere uno dei protagonisti del primo Scudetto della presidenza di Massimo Moratti dando inizio ad una serie di successi. Questo mi ha fatto molto piacere. Per quanto riguarda José, cosa posso dire... un grande! Ho avuto la possibilità di lavorare con lui già prima di trovarci a Milano, cioè al Chelsea. Il mio impatto con il mister è stato diverso rispetto a quello dei miei compagni perché lo conoscevo già, infatti spiegavo agli altri com'era e cosa bisognava aspettarsi da lui. Dopo tutti l'hanno capito, eccome! (ride, ndr)".
Tornando alla tua esperienza nerazzurra, credi che la tua carriera all'Inter sarebbe stata diversa senza il grave infortunio patito nella gara interna contro il Modena nella stagione 2002-2003?
"Sinceramente questa domanda non me la sono mai posta, ma credo di no. Dopo quel problema sono tornato disponibile a tempo di record e ho giocato sia i quarti di finale di Champions League contro il Valencia sia la semifinale contro il Milan".
Valdanito prosegue spiegando i motivi che hanno portato la società a cederlo al Chelsea al termine di quella stagione.
"Credo che la mia cessione sia dipesa da una motivazione di natura economica, questo è quello che mi spiegarono i dirigenti di allora. Nel parco attaccanti dell'Inter di quella stagione erano due i giocatori che potevano essere venduti garantendo un'entrata importante. I due 'papabili' erano il sottoscritto e Christian Vieri. All'epoca il club chiese a tutti i giocatori la disponibilità per ridurre lo stipendio del 30%, spalmandolo nell'ultimo anno di contratto. Quindi, ripeto, c'era questa necessità economica da parte dell'Inter che in quel momento aveva bisogno di fare 'cassa'. Questa possibilità non avrebbero potuto garantirla Ventola, Kallon e Recoba e, quindi, quandò arrivò Roman Abramovich a pagare la cifra richiesta per il mio cartellino, la società accettò subito. Per concludere, quindi, credo che il mio infortunio non incise sulla mia cessione".
Se fosse dipeso da te, saresti rimasto all'Inter?
"Rispondo così: dieci giorni prima della mia cessione acquistai casa a Milano".
Tu sei stato un attaccante fantastico, un vero campione. Nonostante questo, però, in molti ti vedevano come il 'post' Ronaldo. Ti è mai pesata questa cosa?
"Assolutamente no, zero. Non ci ho mai fatto caso. Ti dirò di più: quello che decise il mio approdo all'Inter fu proprio Ronaldo".
Puoi spiegarci meglio?
"Nel caso Ronaldo avesse deciso, alla fine, di rimanere all'Inter sarei stato io il nuovo attaccante del Real Madrid".
Eri già d'accordo con gli spagnoli in tutto e per tutto?
"Certo, ma tutto dipendeva da Ronaldo. Come ho già detto, una sua ipotetica permanenza a Milano sarebbe coincisa con il mio approdo a Madrid. In caso contrario, invece, avrei fatto il percorso inverso, scenario che effettivamente si realizzò".
Per concludere: in questi giorni si è molto parlato del futuro di Diego Milito, ormai ad un passo da ritorno in Argentina al termine della stagione. Tu hai vissuto una situazione molto simile durante la prima stagione di Mourinho e, proprio per questo, vorrei chiederti un parere su quello che starà pensando Diego in questo momento, considerando che il campionato non è ancora terminato.
"Fondamentalmente non è una situazione che ti piace. Non è mai semplice lasciare l'Inter, un club che può darti la possibilità di vincere sempre e, inoltre, quello nerazzurro è un ambiente che ti permette di star bene. Per me è stato difficile perché ero consapevole del fatto che ero in un momento in cui la mia parabola stava diventando discendente e sapevo benissimo che, volendo continuare a certi livelli, avrei dovuto scegliere squadre non di primo livello. Lo stato d'animo in una situazione del genere è perfettamente comprensibile, quindi credo che per Diego sia un po' la stessa cosa".
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