E così ci siamo; l’attesa è durata qualche mese, brucia ancora il risultato dell’ultima stracittadina, è ora di vendicare (sempre sportivamente, ma visto l’andazzo che c’è a Milano, così diversa dalle altre città, non ne dubito proprio) il pesante k.o. che ha caratterizzato, purtroppo, quella passata. Nella quale, lo ricordo giusto con un minimo di scaramanzia che male non fa, partivamo avvantaggiati e dal punto di vista degli undici in campo e dall’alto di una classifica più importante, numericamente parlando. Un po’ come loro adesso; davanti di otto, una specie di mondo colorato e felice dove le colline sono di cioccolato e marzapane ed il mare un gelato al gusto puffo. Mentre noi, in mezzo al caos non calmo che ha caratterizzato l’inizio stagione, una Società dilaniata da chissà quali guerre interne, una continua notte dei lunghi coltelli culminata con l’addio all’ex CEO oltre al depotenziamento di Thohir che non solo non parla da qualche settimana, ma non si sa proprio dove sia. Dovremo arrivarci memori di ciò che è stato; e, soprattutto, del poco o nulla combinato da fine agosto ad oggi. Non mi lancio in digressioni cervellotiche, cercando imprudentemente di analizzare quel che è capitato fino al saluto forzato di Frank De Boer; rischierei di addentrarmi in una sorta di ginepraio dal quale sarebbe difficile uscirne integri. Statistiche alla mano, se su quattordici partite ne perdi sette, hai una media punti bassissima, parti da zero uno ogni partita senza curarti minimamente della fase difensiva beh…diventa complicato perfino per me, che ho difeso ad oltranza il tecnico olandese, trovare un solo motivo per il quale proseguire un’avventura al capolinea, iniziata male e finita ancor peggio. Cacciamolo pure; ma senza dimenticare le parole di Icardi in questi ultimi giorni. Il capitano ha più volte sottolineato che, ad Appiano, non si vedono più scontenti; solo facce allegre e felici. Posso dirlo? Male, ma molto male. Perché, caro Maurito, ciò che vai dicendo rafforza la tesi che lo spogliatoio (o parte di esso) ha deciso le sfortune di un buon tecnico, magari intransigente, con la sola colpa di non guardare in faccia nessuno e far correre tutti quanti. Acqua passata, pensiamo a stasera. Perché il derby è sempre il derby, anche a Subbuteo, anche a calcio balilla, anche tra amici il sabato mattina su un campo di fantozziana memoria. E non ci sono scusanti di sorta; bisogna dare non il cento per cento, che è poco, ma perlomeno il duecento. Finire la partita in apnea. Che al triplice fischio, se arriva qualcuno col microfono in mano a chiederti come ti chiami, manco lo sai. Questo è il derby. Non è calcio, c’è qualcosa che va oltre; dicono che chi non vive a Milano sente di più la gara con i ragazzi di Torino, sponda non granata. Ma per chi fa parte del contesto meneghino non esiste partita più sentita, più vissuta, più attesa di quella con i rossoneri. Milan-Inter fa parte della storia del calcio, parliamo delle due squadre italiane più blasonate e tifate al mondo, con buona pace di tutti gli altri. E travalica il semplice predominio cittadino. Vincere il derby ha un sapore, un gusto, un piacere che non possono essere spiegati in quattro parole o attraverso scritti da una qualsivoglia tastiera. Già, perché non c’è risultato diverso dalla vittoria nella stracittadina che si vive all’ombra della Madonnina. La sconfitta, invece, è una evenienza che nemmeno mi sento di prendere in considerazione. Stefano Pioli, simpatizzante nerazzurro, ha una splendida occasione per esordire col botto; e, soprattutto, compiendo qualcosa che non scorderà mai più per tutto il resto della sua carriera, ovunque andrà dopo l’avventura interista. Raccontano quelli bene informati che l’allenatore parmense, in questi pochi giorni a disposizione e con i pochi uomini risparmiati dalle nazionali, abbia ossessivamente provato e riprovato piccole accortezze difensive che potrebbero fare la differenza. Cose fino all’altro giorno non dico sconosciute ma quasi. E sebbene io non concordi per nulla con le parole del capitano, come ricordato poco sopra, devo dire che, sempre i bene informati, mi hanno dipinto un ambiente diverso rispetto a quindici giorni orsono. Giocatori vogliosi di dimostrare tutto il possibile al nuovo tecnico, impegno a mille, gran lavoro misto a divertimento. E del gran sudare. Sperando che questi ingredienti siano sufficienti per piegare le resistenze di un Milan che, a fronte di un gioco quanto mai discreto, è accompagnato per la manina dalla dea Eupalla, la stessa che un anno fa vegliava su di noi con estrema attenzione. È in circostanze come queste, comunque, che mi mancano gli interpreti veri dell’interismo, pur con tutti i loro limiti; coloro che sanno cosa significa portare i colori del cielo e della notte sulle spalle. Che non è una roba buttata lì tanto per scrivere qualcosa; ma che, in primo luogo, devi sentirti dentro. Ricordo qualche stagione fa; fuori da Appiano i giocatori firmarono un foglio, bello per carità, con un numero imprecisato di regole che avrebbero dovuto rispettare, con tanto di telecamere e macchine fotografiche ad immortalare l’avvenimento. Una sorta di decalogo, sottoscritto da tutti al grido di sorridiamo davanti all’obbiettivo. La stagione che ne seguì la definirei, per educazione, deficitaria. A me frega nulla delle firme poste in calce ad un foglio pieno di buone intenzioni; io esigo corsa, cattiveria agonistica, bava alla bocca, grinta, determinazione, convinzione. Altrimenti devo dar ragione a chi sostiene che siamo una compagnia di belle figurine (alcune) sistemate a casaccio, senza arte né parte; e, ancora peggio, senza cuore né anima. Con l’aggravante di continuare a cambiare allenatore, nove in sei anni, uno ogni otto mesi, roba da far tremare i polsi agli Zamparini di turno. Poiché reputo sia stata parecchio fallace la campagna acquisti estiva, ritoccate zone del campo già coperte mentre altre, quelle dove il livello di guardia era lampante fosse stato superato da mo’, inspiegabilmente lasciate al loro destino (per non parlare dei rinnovi contrattuali), riesco a dare una seppur minima spiegazione alle difficoltà incontrate dalla Beneamata in questi due mesi. Ma considero la nostra rosa, sarò un inguaribile ottimista probabilmente ignorante di pallone, superiore e non poco a quella degli avversari di stasera. E trovo oltremodo offensivi, non solo per me ma per tutto il popolo nerazzurro, gli otto punti che ci separano da una squadra, ripeto, non alla nostra portata, molto di più. Io mi fido del nocchiero Stefano, di ciò che sceglierà e di come deciderà di impostare partita e formazione; mi sono rotto di sentir dare dell’incompetente a chiunque sieda in panca. È ora di caricare di responsabilità quelli che in campo ci vanno davvero, per giocare. Con la cacciata di Frank De Boer i bonus stanno a zero; e stasera l’occasione è ghiotta. Vincere, per far pace non solo con voi stessi ma, soprattutto, col mondo nerazzurro che vi circonda. E vi segue ovunque. Ecco, quel mondo lì si merita ben altro rispetto agli spettacoli a cui ci avete fatto assistere. Forza e coraggio. Buon derby e buona domenica a Voi. Amatela, sempre!

Sezione: Editoriale / Data: Dom 20 novembre 2016 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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