Se c’è una cosa che mi annoia, quando si parla di calcio, è il ricorso al luogo comune, alle frasi fatte, all’incasellamento. Il popolo del pallone si limita a giudicare l’ovvio (i risultati), mortifica gli sconfitti e va in soccorso dei vincitori, cercando nuovi aggettivi per blandire loro e le tifoserie sempre più permalose, in possesso di un manuale Cencelli per verificare quanto e come si parli della squadra di appartenenza. Nel caso dell’Inter si è deciso di sterilizzare le argomentazioni su Mancini e tutta la squadra con un plotone di opinioni convenzionali alle quali un po’ tutti si sono adeguati con uno spirito critico pedissequo. Ecco perciò che da settimane si va avanti a dire stolidamente che la squadra gioca male. E tutti a dire che gioca male. Punto.

Qualche intervista, il rapporto sugli infortuni, il consueto spazio al giocatore dimenticato da Mancini (adesso Llajic, poi D’Ambrosio, prima Ranocchia), il modulo, le pagelle dei nuovi e poco altro. Chiaro che se gli argomenti quotidiani, anche in assenza di campionato, sono distribuiti più con cognizione di esaltazione, polemica del giorno, moduli e statistiche, il concetto stesso del calcio si inaridisce sempre più. Morale: l’Inter gioca male, Mancini è sopravvalutato, sbaglia i cambi, non si capisce cosa vuole fare, però è fortunato e gli è andata bene. Se il gioco del calcio fosse tutto qui, il curling sarebbe di gran lunga uno sport più avvincente.

Provo a mettermi nella testa di Mancini, il quale ultimamente ha alzato il numero di affermazioni sprezzanti verso chi non capisce. Un assenza di umiltà che forse nasce proprio dall’insofferenza verso un mondo calcistico schematico. Vi propongo una formazione che in realtà illustra meglio di ogni argomentazione le idee di Mancini. Questa è una formazione del suo Manchester City: Hart; Richards, Kompany, Lescott, Clichy; Barry, Yaya Touré; Milner, Silva, Tevez; Aguero. Se non conoscete le caratteristiche di tutti i giocatori sappiate che state leggendo una formazione che ha la stessa intelaiatura dell’attuale Inter. Ovvero una difesa con piedi discreti, ben registrata con Lescott (il peggiore della squadra) e Kompany centrali, come Miranda e Murillo, due esterni di livello come Clichy e Richards, ai quali si spera somiglino il più possibile Santon e Telles, un centrocampo muscolare (Barry, Yaya Touré, Milner) rappresentato ora da Felipe Melo, Kondogbia e Guarin. Poi i tre davanti per creare opportunità da gol. Nel caso del City erano i tre fenomeni: Tevez, Aguero e Dzeko. Nell’Inter ci sono invece Perisic, Jovetic e Icardi che, pur con caratteristiche diverse, risultano un reparto di grande potenzialità. 

In pratica Mancini ha cercato di ricreare questo tipo di squadra. La differenza per poi vincere il titolo la faceva la panchina su cui sedevano in rotazione altri campioni. Basti pensare che c’erano anche Zabaleta, Kolarov, De Jong, Johnson, Nasri e Balotelli. Il Manchester giocava male, almeno seguendo la linea degli esteti. Lo fece tutta la stagione vincendo partite rocambolesche. Poi vinse la Premier League. Ecco: l’Inter, pur non avendo chance di vittoria finale, ha una chiara identità che rifugge dagli aspetti ornamentali e punta su una solidità da costruire.

Eppure per chi parla di calcio c’è questo ricorso alla retorica spinta: “Non puoi vincere niente se giochi male”, parole e musica di molti esperti. Posto che la proiezione verso lo scudetto è un'ambizione legittima se ti chiami Inter ma irrealistica se ricordi le ultime stagioni e rifletti su quanti giocatori nuovi vanno fatti diventare una squadra, mi chiedo dov’erano quando Capello e il suo gioco scintillante venivano considerati cinici e spietati vincendo tutto. Quest’anno a me non interessa il bel gioco, non m’importa nulla dell’armonia e dei complimenti. Mi interessa che la squadra diventi più equilibrata, che Guarin si comporti da uomo e non faccia più una partita sì e tre no, che Mancini si convinca che non può pensare di fare possesso palla in modo sterile, sperando che Kondogbia diventi Yaya Touré, solo perché glielo sta insegnando, e Guarin, insieme a lui, capisca il valore degli inserimenti in area come faceva Cambiasso, per creare opportunità da gol. 

E ancora: mi interessa che Icardi partecipi molto di più al gioco, che Santon faccia il salto di qualità perché gli manca sempre una lira per fare un milione e che l’Inter faccia una cosa che non le vedo fare da anni: aggredire l’avversario dal primo minuto e non subire sempre sempre sempre il pressing degli altri. Ormai lo sanno tutti che se vai a fare pressing alto per almeno un’ora contro l’Inter e riesci a tenere a lungo quel ritmo, puoi quantomeno pareggiare. È ora che Mancini trovi le contromisure, specialmente contro la Juventus. Perché, chi come me ha negli occhi le gare con Fiorentina e Samp si ricorda di quanti contropiede sono stati presi in parità numerica, dopo aver perso palloni banali. 

Domenica arriva la Juventus che ha i due giocatori peggiori per il tipo di gioco nerazzurro: Dybala e Cuadrado. Si faccia furbo Mancini, vada avanti per la sua strada ma sistemi, anche in modo estremo, le voragini a centrocampo, altrimenti sarà una domenica nerissima. 

Sezione: Editoriale / Data: Lun 12 ottobre 2015 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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