La costruzione di un’opera, in qualsiasi campo si lavori, richiede tempo. C’è bisogno delle giuste risorse umane, di un adatto capo, in grado di mischiare filosofia e stile, con persone pronte a credere nell’importanza di un progetto. Più è grande questo progetto, maggiori saranno i detrattori o gli individui che alla prima caduta si faranno beffe di chi sogna e investe il proprio tempo in un’idea. Non sempre i capolavori escono al primo tentativo, non tutte le intuizioni si rivelano geniali: Thomas Edison per giustificare questa teoria ha addirittura coniato una frase entrata nella leggenda: “Non ho fallito, ho provato mille metodi che non hanno funzionato”. Così si può archiviare (per il momento) la difesa a tre vista contro la Fiorentina e l’esperimento di Santon centrale, con tanto di Perisic esterno destro a correre su e giù per la fascia. Però le vie del successo sono infinite e impreviste: nessuno sa cosa o come può portare ad un risultato: Fernando Pessoa che dai suoi diari vide nascere postumo, quasi per caso, il Libro dell’Inquietudine, nominato tra i cento migliori libri di tutti i tempi dal Norwegian Book Club. Insomma, anche in questo viaggio verso l’Europa di Mancini si naviga tra il relativismo di idee e di principi. Ma tant’è: dopo sette giornate l’Inter è nel gruppo di testa della classifica e con sedici punti ha incominciato a correre. Ora bisogna risolvere le criticità e puntare ad ingranare le marce alte, perché la strada si fa ripida. 

I CRITICI - Probabilmente, poco dopo il vantaggio della Sampdoria siglato da Luis Muriel, Mancini li ha visti arrivare tutti, pronti a piombarsi sull’Inter in difficoltà: i critici, gli scettici, i fantacalcisti del sabato pomeriggio. Una sorta di fiumana d’uomini d’ogni tipo stava per entrare in rotta di collisione con la squadra anonima nel primo tempo, incapace di sfruttare i pertugi della Sampdoria e che a più riprese aveva mostrato il fianco debole alle ripartenze architettate da Zenga, fino alla rottura dell’incantesimo con il gol del colombiano. L’esercito di chi aveva già il dito puntato, una sorta di traslitterazione calcistica del masterpiece di Pellizza da Volpedo, era pronto ad avventarsi sulle carcasse nerazzurre, prima di essere respinto dalla spericolatezza tattica di Mancini: il tecnico jesino ha tolto Kondogbia, acciaccato, per inserire Biabiany e varare il 4-2-4, un omaggio ai principi della canzone di Vasco Rossi, per andare al massimo e provare ad invertire la rotta. Due sconfitte consecutive d’altronde sarebbero state un involontario assist a chi ha evidenziato le debolezze dell’Inter fin dalla partita contro l’Atalanta, decretando le carenze strutturali e l’assenza di un gioco. Perisic ha rattoppato lo strappo, ma la sensazione è che si dovrà aspettare ancora un po’ prima di vedere un’Inter spumeggiante, in grado di arrembare dal primo minuto gli avversari e brindare alla vittoria con tanto di Smirnoff

PERCHE’ IL GUARO - Molti si chiedono perché Roberto Mancini continui a far giocare Fredy Guarin, giocatore scostante e autore di partite altalenanti. In lista ci sarebbe Brozovic pronto a soffiare il posto al colombiano, eppure il Mancio da quando è iniziato il campionato non rinuncia al Guaro. Come mai? E’ presto detto: in una squadra in cui regna il passaggio in orizzontale, il Tredici è invece l’unico che ad intermittenza prova la verticalizzazione improvvisa, a cercare le punte, a cambiare lato del campo, a rendere meno prevedibile una manovra avvolgente, ma ancora poco pericolosa. L'emblema di questo gioco sono le statistiche riguardano le combinazioni di passaggi tra giocatori: Medel e Murillo si sono scambiati il pallone per cinquanta volte, così come Melo e Kondogbia hanno abusato del passaggio semplice. Infatti le verticalizzazioni non sono il pane quotidiano di Felipe Melo, mentre Kondogbia ha nell’esterno sinistro l’unica soluzione di giocata. In attesa di un regista, il Guaro dovrà rimanere in campo.  

LA SOLITUDINE DEL NUMERO 9 - Icardi ha toccato il pallone quattordici volte, durante la partita. E due di questi tocchi sono arrivati in occasione alla ripresa del gioco dopo l’intervallo e successivamente al gol di Muriel. Maurito corre tanto, si propone a dettare il passaggio, ma ancora non viene visto con continuità dai compagni. Quando gli arriva il pallone, lotta e produce sempre qualcosa: che sia un calcio d’angolo o l’assist a Perisic, una giocata di prestigio eseguita mentre stava cadendo. Icardi c’è, ma Mancini dovrà trovare il modo giusto di rifornire il suo bomber, perché senza il Nos del numero 9, il motore nerazzurro a livello offensivo gira a giri molto, molto bassi. Otto gol in sette partite, a fronte di sei reti subite, è troppo poco. Così come troppo spesso Icardi si è trovato da solo in occasione dei cross da parte di Telles o Santon: solo 14 su 45 hanno trovato un giocatore interista e visto che quest’anno i calciatori con i piedi buoni ci sono, significa che i centrocampisti arrivano poco in area. Altro aspetto su cui Mancini dovrà lavorare in attesa della Juventus, soprattutto con Kondogbia. Tutto è nelle mani del tecnico che continua il suo percorso, insidiato da critiche e bunker avversari. Quale sarà il finale del thriller? 

Sezione: Copertina / Data: Lun 05 ottobre 2015 alle 08:00
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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