Che confusione! Ancora un ko contro un più che discreto Bologna e ancora una volta tanti indici puntati verso altrettanti, forse eccessivi, obiettivi. Sono ben quattro, infatti, le storie nerazzurre che fra intrecci, discorsi sibillini, frecciatine, urla, litigi e riappacificazioni animano le menti di tifosi e addetti ai lavori.
La prima, la più importante, è quella di Andrea Stramaccioni, comandante di una barca che si è incagliata in una secca troppo ampia per poterne uscire con la sola spinta del vento positivo che fatica a spirare da un mese a questa parte. Al tecnico romano vanno le colpe più pesanti che possano essere imputate ad un allenatore, ancor più se di una squadra importante come quella nerazzurra: mancanza di gioco, ma soprattutto mancanza di risultati. Sì perché se nella sua intera gestione il gioco espresso dalla squadra non è mai sembrato prettamente “organizzato”, la mancanza di risultati e la fatica incontrata sul campo nell’ottenimento dei pochi punti conquistati in campionato hanno ingigantito un problema palese dovuto, probabilmente alla confusione tattica di stanza nelle idee del giovane trentasettenne. Affidarsi ai senatori presenti in rosa, in un periodo di ristrettezze dovute ad infortuni e insufficienza nella condizione atletica della gran parte dei giocatori è una mossa che, nell’anno del “cambiamento” e dell’inizio di un nuovo progetto incentrato sulla parola “giovani” si è rivelata un’arma a doppio taglio che, a conti fatti non ha prodotto né risultati soddisfacenti, né l’effettiva crescita del già citato nuovo corso.
I senatori, non solo Zanetti e Cambiasso, ma anche i vari Samuel, Stankovic, Chivu..., insomma la cosiddetta vecchia guardia, è la seconda delle storie interiste che animano il sacro fuoco dei dibattiti. I martiri del triplete, coloro a cui dopo lo sforzo strepitoso del 2010 è stato affidato il compito di traghettare l’Inter al di là della storia, salgono sul banco degli imputati per l’atmosfera che si percepisce al di fuori dalle mura di Appiano. Nessuno sa veramente quanto e in che modo questi campioni “condizionino” l’operato del gruppo e dell’allenatore, tuttavia, con il fardello dell’inefficienza che grava sulle spalle di un’intera squadra, il peso non può che ricadere principalmente sulla loro personalità. Le cause sono molte e variegate in base ai singoli elementi presi in considerazione di volta in volta, ma il motivo principale rimangono proprio le loro qualità. Un campione decide sempre (sia in positivo che in negativo) l’andamento di una squadra e all’Inter i campioni sono proprio loro.
Già, ma quest’ultima affermazione ci porta alla terza, forse la più drammatica delle 4 muse iniziali. Due persone racchiuse in un’unica entità, come il più classico dei giani. Le divinità del mercato nerazzurro, Marco Branca e Piero Ausilio, hanno indossato, da due anni ad oggi, gli abiti della cicala di Esopo. L’estate nerazzurra, per rimanere legati alla nota favola, è stata certamente l’annata 2010. Tutto il patrimonio incamerato in quell’anno tuttavia, è stato sperperato nel corso degli ultimi due; non vendendo nell’immediato post triplete (distruggendo il valore di mercato degli eroi di Madrid) e appiattendosi sull’esperienza internazionale dei reduci e quindi dei senatori senza progettare un rinnovamento strutturale ed un affiancamento programmato di giovani di talento per l’immediato futuro. L’errore è palese, ma è stato coperto, finora, da risultati discreti, gli stessi risultati che tirano in ballo proprio il quarto e ultimo capitolo dei problemi nerazzurri: Massimo Moratti.
Il presidente della Beneamata non ha, a dire il vero grandi colpe, se non l’essere al 100% legato a questa maglia ed essere, proprio per questo, tanto tifoso e molto poco manager. Lungi da me invocare l’allontanamento da questa squadra del Presidente più vicino al popolo interista della storia e che, grazie alla sua passione, ha regalato gioie inimmaginabili a tutti i supporter del biscione. Moratti deve restare saldamente alla guida nerazzurra, magari non da solo (come lui stesso ha auspicato), ma deve riuscire ad implementare la sua figura istituzionale ingigantendo, soprattutto in questo periodo, la sua figura manageriale. In una società calcistica moderna non c’è più spazio (se non nei tifosi) per scelte di pancia, non ragionate e dettate da fattori esterni. All’Inter serve meritocrazia e professionalità come in un normale ambiente lavorativo. Chi sbaglia (e come si è potuto vedere non è una sola entità) deve subire le conseguenze dei propri errori e, soprattutto, non si possono più nascondere i problemi stagionali della squadra dietro all’ampio scudo di un possibile risultato finale.
In tutto questo cosa c’entra il Tottenham e la sfida di Europa League? Assolutamente niente, perché con la coppa, a meno di miracoli inattesi, l’Inter nel 2013 ha ufficialmente chiuso. Rimarrà il rammarico per un paio di giocate sbagliate nella gara di andata, certamente, ma l’insegnamento che questo periodo dovrà dare a tutto l’ambiente nerazzurro è che con la confusione e l’improvvisazione non si va da nessuna parte. La decisione, e qui dice bene il presidente Moratti, spetta solo ed esclusivamente a lui. Si scelga una strada e la si percorra al di là di ogni possibile inciampo, ostacolo o errore. Basta, una buona volta, con tutta questa confusione!
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