Walter, nella vita, ne avrebbe visti e navigati di mari. Eppure, il primo era proprio uguale al secondo, nei suoi occhi di ragazzino. Le onde, l’odore di salsedine, le larghe spiagge, la pineta profonda. Da San Vincenzo, piccolo comune bagnato dal Mar Ligure dove giocava a calcio sull’asfalto con i sassi a fare da porta, con il sangue alle ginocchia per le cadute ma con tale felicità da non sentire il dolore delle ferite, a Follonica, trenta chilometri di ferrovia più a sud in direzione Piombino, al di là dell’Isola D’Elba, la massa verde a picco nell’azzurro da cui discendeva la sua famiglia. Dove il Ligure diventa Tirreno, ma è solo la cartina che te lo dice. Un ragazzino esile che apriva a fatica le pesanti porte del treno locale per andare a scuola di ragioneria e allenarsi in una vera squadra. La maglia biancazzurra dell’Unione Sportiva Follonica come seconda pelle per continuare ad inseguire un sogno dentro un pallone. Un pallone che l’avrebbe portato con poca anticamera all’ombra del campanile di Giotto. Nella stanza del calcio che conta. Dura staccarsi da mamma Edda e da papà Alberto, dal fratello Stefano, da casa, ma la maglia viola era troppo importante. Come è grande Firenze quando non hai neanche 18 anni. L’idolo era lì. A portata di mano, anzi di piede. Non era più solo un poster appeso nella cameretta. Le scarpe dell’eroe del prato verde sempre immaginato si muovevano sugli stessi identici fili d’erba del ragazzo che voleva essere come lui. Il pallone, poi, il pallone era proprio lo stesso. Giancarlo (Antognoni) si allenava e lui, Walter (Mazzarri), poteva vederne dal vivo, in diretta, tutti i movimenti, le finte, i tempi di gioco, l’intelligenza tattica, le doti di comando senza urla.
Da un palcoscenico privilegiato: a bordo campo. Non perché avesse avuto chissà quale permesso speciale, Walter, ma perché quando giochi nelle giovanili di una grande squadra è come se i giocatori della prima fossero, se non dei padri, dei fratelli maggiori. Potevi parlare con loro e quasi toccarli. Giancarlo si accorse di questo ragazzo dai piedi buoni che cresceva in primavera e iniziò a chiamarlo a sé per scambiarci, insieme all’amico Giovanni (Galli), il portiere, quattro passaggi, quattro tiri alla fine dell’allenamento. Quale onore! Il cuore di Walter aumentava i battiti fin quasi ad andare fuori giri. La palla calciata dall’idolo scivola a pelo d’erba fino ai piedi di Walter, la concentrazione è al massimo, il piede d’appoggio ben piantato nell’erba, l’altro aperto per restituirla di piatto, senza errori di traiettoria, a Giancarlo. Quella mano sulla spalla, quei consigli che lo spronavano a continuare così a migliorare, a crederci, ad allenarsi con scrupolo erano tutta energia. Pura. Poi c’era il fisico, i tratti somatici, persino i lunghi capelli mossi…Walter assomiglia proprio a Giancarlo, quasi per induzione calcistica, ne era, ne doveva per forza essere, l’erede. Claudio Olinto de Carvalho, per tutti solo Nené, l’allenatore della primavera che stravedeva per lui, lo spingeva ogni giorno verso il sogno da realizzare. Ogni altra ipotesi non veniva neanche presa in considerazione da Walter. Giancarlo, re di Firenze, adorato dai compagni, idolatrato dai tifosi, amato dalle donne, osannato da una città intera. Ricorderà Walter, “la Fiorentina è stata un’esperienza importante anche sotto l’aspetto della crescita come uomo. Sono diventato indipendente, ho preso la patente e acquistato la macchina, il primo modello della Golf, grigia metallizzata.
A Empoli poi sono maturato, ho comprato casa, ho studiato Economia e Commercio, 12 esami me ne mancavano 8 al traguardo, all’università ho conosciuto Daniela, oggi mia moglie. Ma non sono mai stato uno che cantava nel coro, per il mio carattere solitario e i miei capelli mi chiamavano “Lone Wolf”, Lupo Solitario. Sfuggivo allo stereotipo del giocatore donne-motori, mi occupavo di investimenti finanziari.” Merito delle sane radici antiche di papà Alberto, elbano di ferro, e di mamma Edda, cecinese, titolari di un panificio, uno dei più importanti della Val di Cornia sito ancor oggi in via Monte Grappa a San Vincenzo. Papà Alberto, che anche durante le vacanze d’estate, lo faceva alzare alle 5 e lo mandava a lavorare con i panettieri al forno tra i sacchi di farina. Un’educazione di cultura del lavoro che avrebbe dato i suoi frutti anche nel fratello Stefano che diventerà uno dei direttori delle acciaierie Lucchini di Piombino. “In spiaggia ci andavo pochissimo e solo dalle 2 alle 4 del pomeriggio, sempre a quella libera accanto al bagno Delfino. Ero talmente stanco che invece di stare con gli amici mi addormentavo, il tempo di un tuffo ed era già ora di tornare al negozio. C’è stata una fase della mia vita in cui frequentavo il Paradisino, stabilimento dove la sera si trovavano quelli della mia età. Era il periodo delle prime ragazze ma a dire il vero fisicamente allora non ero un granché”. Walter, anche lui, come re Giancarlo, portava sulle spalle la maglia con il numero 10. In fondo era tutto scritto, il trono era lì a portata di mano. Anzi di piede. Invece Walter fece quella che definì “la grande scemata della mia vita”. “Dopo la primavera viola – pesca ancora in fondo alla mente – mi aggregai alla prima squadra nell’estate del 1980. In panchina De Sisti. A fine stagione neanche una presenza, volevo giocare ma ero chiuso da Antognoni”. Il mito, l’idolo di Walter ora ne è l’ostacolo insuperabile, colui che non ti fa alzare dalla panchina. Pesante come un macigno. “Decisi di andare via, feci il mio esordio professionistico in serie B, al Pescara”. Come è diverso il mare Adriatico dal Ligure. La sabbia e il mare hanno quasi un altro colore. Questa volta non lo dice solo la cartina. Era la stagione 1981/82, quella che portava al mondiale di Spagna. I Viola contendono fino all’ultima giornata lo scudetto alla Juventus, perso tra le polemiche di un gol, non dato, a Graziani contro il Cagliari e di un rigore, dato, ai bianconeri contro il Catanzaro. Walter fa un grande campionato e conta 26 presenze coi biancazzurri, la stampa lo elogia: “Vent’anni di origine livornese, è l’uomo sul quale si appuntano tutte le speranze dei tifosi pescaresi. E’ un autentico fuoriclasse dal futuro assicurato”. Gli abruzzesi retrocedono in C1 ma le 4 reti di Walter, sulle 20 alla voce gol fatti, hanno peso e la Fiorentina lo riporta a casa, promettendogli di diventare la prima riserva di Giancarlo e poi, in un domani cercato, voluto ancora, il suo erede.
I piedi di Walter dalla gioia quasi non toccano più l’erba. Giancarlo rientra dalla Spagna con la Coppa del Mondo. A Firenze chi conta più di lui? Forse solo Dante. La squadra è ancora forte ci sono i Pecci, i Patrizio Sala, i Daniel Bertoni, i Daniel Passerella…Improvvisa, nell’ultimo giorno di calciomercato ecco la delusione. La grande delusione. “Mi chiamano in sede e mi dicono che mi hanno trasferito al Cagliari. La presi male. I sardi erano in serie A ma in Sardegna andai con cattiva voglia e dopo sole quattro partite, feci anche un gol, chiesi di andarmene”. Gigi Riva e mister Giagnoni fanno di tutto per trattenerlo, credono fortemente in quel ragazzo. Sono sicuri, merita di giocare in A!. Gli offrono persino un aumento di stipendio. “Non ci fu nulla da fare. Scappai. Tornai in serie B, questa volta con la Reggiana. A Cagliari ho fatto la grande scemata della mia vita”. Addio mare selvaggio di Sardegna, col vento che spazza la sabbia bianca e spinge i cavalloni. L’anno dopo De Sisti lo vuole riprendere in viola, a tutti costi. Si vocifera di Giancarlo alla Juventus. Lui lo deve sostituire. Ma il calciomercato è, ancora una volta, il mostro che toglie i sogni. Ti fa aprire gli occhi solo per farli smettere e per farti vedere che tutto è svanito. Giancarlo resta e la Fiorentina lo spedisce ad Empoli, ancora in serie B. “La porti un bacione a Firenze, che l’è la mia città che in cuore ho sempre qui. La porti un bacione a Firenze, lavoro sol per rivederla un dì…”, suonava una vecchia malinconica canzone di emigranti. “La presi male, ancora una volta. Quella volta non scappai ma a Firenze non tornai più, restai ad Empoli cinque stagioni, nel 1985/86 vincemmo il campionato ottenendo la promozione in A”. Anche Giancarlo ci restò male: “La sua sfortuna fu proprio che davanti a lui c’ero io a sbarrargli la strada. Ci teneva in modo particolare a debuttare in maglia viola e mi spiace che non sia riuscito a coronare quel sogno”. Il campanile, il Duomo, Walter non rivedrà più Firenze. Almeno non da calciatore. I ricordi si affollano nella mente di Walter, ma non sono per niente sbiaditi o confusi. “Ho avuto le mie responsabilità, ho fatto i miei errori, forse non ero così bravo come dicevano ma sono stato anche sfortunato”. Come dargli torto? Una volta, quella volta, Walter doveva esordire contro la Juventus di Brady perché Giancarlo si era fatto male. Lassù a Torino, in casa degli storici nemici. La settimana vola via in un baleno, la testa solo e soltanto alla partita. Adrenalina che non fa dormire la notte. Al venerdì, con la Fiorentina già in ritiro, la più amara delle sorprese prende la forma di una squalifica. “Una squalifica a tempo per una partita del campionato Primavera. Mi misi a piangere, scappai da Torino subito!”. La vita, a volte, regala una seconda occasione. “Giancarlo si fece male, restò fuori per dei mesi. Ma cosa accade? Mi faccio male anch’io. La stessa identica sorte. Per me Giancarlo è stato croce e delizia. Così non ho mai indossato la maglia viola”. Per Walter inizierà una sorta di Giro d’Italia delle casacche. Dopo Empoli, ecco Licata nel cuore blu del mar Mediterraneo, poi Modena (promozione dalla C1 alla B), Nola e Viareggio, il ritorno al conosciuto mare di casa. Nel 1992 nuovo sbarco in Sicilia, ad Acireale bagnata dall’impetuoso mar Ionio. Sotto la guida di Papadopulo arriveranno le ultime soddisfazioni di una carriera calcistica che poteva essere diversa. Walter ad Acireale diventa la chioccia dello spogliatoio nel quale scalpitano giovani pulcini desiderosi di fare carriera. “Vedevo ragazzi a volte troppo gasati, desiderosi di bruciare le tappe come lo ero io alla loro età. Allora mi piace dar loro dei consigli. Nel calcio circolano di venditori di fumo. Forse se non mi avessero chiamato Antognoni – 2… anch’io…Era troppo, per un ragazzino…”.
Alla prima stagione la salita in serie B a tavolino. A fine campionato i 44 punti conquistati dai siciliani, a pari merito con il Perugia (primo il Palermo), impongono lo spareggio. Vinceranno gli umbri per 2-1 ma la loro successiva squalifica per illecito sportivo porterà la promozione dell’Acireale. L’anno dopo la salvezza è raggiunta con lo spareggio ricco di pathos di Salerno del 14 giugno 1994 contro il Pisa. Dopo lo 0-0 dei tempi regolamentari e supplementari, la serie dei rigori condannerà i toscani alla C1. Walter tirerà e segnerà il suo rigore, il quarto dell’Acireale: “sono andati dal dischetto nell’ordine Rocco (P) parato; Tarantino (A) traversa; Rotella (P) traversa; Favi (A) rete; Bosco (P) rete; Migliacci (A) rete; Farris (P) rete; Mazzarri (A) rete; Susic (P) rete; Modica (A) rete.” Sarà l’ultimo tabellino del calcio professionistico che conta in cui comparirà il suo nome. Un infortunio gli farà chiudere la carriera l’anno dopo a soli 33 anni con la maglia della Torres in C2 dopo 9 presenze. “E’ vero non sono diventato come Giancarlo, però ho indossato la maglia azzurra della nazionale B, nella Under 21 e nella Juniores. Mi sono fatto volere bene e stimare da allenatori come Valcareggi e Vicini”. La meta del suo viaggio era il porto della panchina “quando ci stavo seduto immaginavo le situazioni tattiche e già collaboravo coi tecnici”. Walter, Lone Wolf, aveva già capito che il suo vero lavoro era allenare, “così entro ed esco dal gruppo quando voglio”. Questione di indole, questione di carattere. Altri mari si stagliavano all’orizzonte della sua nave. Non avrebbe più fatto parte della ciurma. Si sarebbe messo al timone.
(1a puntata - continua)
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