Aggirandosi per l’Inter Village in quel di Riscone di Brunico, oltre al consueto bazzicare di maglie numero 9 con Icardi stampato sulla schiena, è balzato subito all’occhio come da quest’anno anche il numero 7 sia tornato in voga: merito di un adrenalinico blitz in terra monegasca della dirigenza dell’Inter, il cui frenetico svolgimento sembrava quasi fosse stato vergato dall’audace penna di Pierre Alexis Ponson du Terrail e che ha portato a Milano Geoffrey Kondogbia, proprietario della casacca che ha spopolato nei dieci giorni di ritiro in Trentino Alto Adige. Ora, dopo tanto clamore mediatico (condito da una doppia presentazione in grande stile) è tempo di far parlare il campo, quindi bisogna dimenticarsi di quello che è stato l’esborso economico e concentrarsi solo sul rettangolo di gioco per capire come Kondogbia potrebbe cambiare l’Inter. 

CHI E’ ? - Geoffrey infatti arriva a Milano in una notte di fine giugno e divide subito la critica: c’è chi lo ritiene un oggetto misterioso e chi un giovane campione dal potenziale ancora inespresso e tutto da sviluppare. Sicuramente la prima immagine che sobbalza alla mente di chi si sofferma a pensare alle caratteristiche tecnico-tattiche dell’ex Monaco è la potente conclusione di sinistro  (viziata da una deviazione) con cui il francese ha affondato l’Arsenal all’Emirates Stadium, negli ottavi di Champions League di questa stagione. Non è un caso, questo: nell’ultima stagione, Kondogbia è riuscito ad elevare il livello del proprio gioco nelle partite più calde della stagione - ovvero le gare ad eliminazione in quella che fu la Coppa Campioni - risultando uno dei cardini del Monaco che ha tentato la scalata europea. 

Ma quand’è che l’Europa si è accorta di Kondogbia? Sicuramente il gol all’Arsenal ha influito, così come la vittoria del Mondiale U20 con la Francia, ma anche il colpo inferto a Diego Costa, accusato di razzismo e che gli è costata l’unica espulsione della sua carriera hanno contribuito ad accendere i radar sul giovane francese di origini africane. Eppure per capire l’evoluzione tecnica, tattica e caratteriale di Kondogbia bisogna riavvolgere il nastro della sua carriera fin agli albori, quando militava nelle giovanili del Lens insieme ad un altro ragazzo francese che - di lì a poco - avrebbe fatto il grande salto: Raphael Varane, passato dalla squadra primavera al Real Madrid. Kondogbia invece, nei primissimi anni della sua carriera, non ha subito i riflettori della critica puntati su di lui, anzi. Passa quasi sotto traccia al Siviglia (il cartellino pagato 4 milioni e clausola rescissoria fissata a 20) dove incomincia la sua maturazione tattica e tecnica. Infatti il francese ha basato la sua scalata alle gerarchie del centrocampo della squadra spagnola sulla prepotenza fisica, con cui sradica palloni e argina le avanzate degli avversari nell’uno contro uno. 

IL BAGAGLIO TECNICO - E’ proprio questa sua attitudine difensiva la prima caratteristica del bagaglio tecnico di Kondogbia. La sua capacità di gestire la fase di non possesso temporeggiando sul marcatore e riuscendo a recuperare palla senza usare il contatto fisico con le braccia è sintomatica del controllo che il francese ha del proprio corpo e della propria forza. Nel ritiro di Riscone di Brunico capitava di vederlo all’opera nelle partitelle ad uno o due tocchi, in un primo momento quando recuperava il pallone in scivolata o semplicemente frapponendosi fra l’avversario e la sfera (usando tempi scenici perfetti) e poi riuscendo a trascinarsi il pallone anche per circa dieci metri essendoselo allungato una prima volta e poi difendendolo con il corpo, prima di smistarlo a Kovacic che Mancini vuole trasformare nel centro organizzativo della manovra offensiva dell’Inter. 

Un altro aspetto che ha sicuramente influenzato lo stile di Kondogbia è la velocità di gambe, probabilmente sviluppata quando ancora il calcio era una passione (di cui non gli piacevano le regole, come ha dichiarato il giorno della sua presentazione ufficiale) e la boxe la sua prima scelta. La grinta con cui si butta fra le gambe degli avversari per arpionare un pallone ed interrompere l’azione avversaria potrebbe essere considerata semplice irruenza se non fosse che il francese sa scegliere sapientemente i tempi dell’intervento, senza per forza affondare subito il colpo, e usa alla perfezione le lunghe leve di cui è dotato. 

IL GIOCO - Dove si colloca, quindi, un giocatore del genere? Nel vivo del gioco, sicuramente. Ma Kondogbia non ha (ancora?) le caratteristiche per dirigere l’orchestra e quindi diventare il perno davanti alla difesa, ma in un centrocampo a tre - dove lo sta provando Roberto Mancini - può essere devastante per la sua abilità nell’uno contro uno - in difesa - e come capacità d’inserimento in attacco. Ma non solo: se infatti la marcatura ad uomo è il suo forte, certo non si può dire lo stesso della fase difensiva in generale (come ha ammesso egli stesso sempre il giorno della sua presentazione). Come mai questo? A volte Kondogbia soffre gli spazi aperti e non ha ancora la maturità necessaria per gestire la transizione difensiva senza finire beffato dagli scambi avversari. Ecco perché, in un centrocampo a tre, Kondogbia potrebbe risultare perfetto: ha il mediano (Medel o Kovacic?) che può accorciare sul suo uomo e l’esterno (o il regista) che possono restringere il campo attuando un pressing alto (come vuole Mancini) e quindi ridurre il raggio d’azione del numero 7 nerazzurro, portando lo scontro tra lui e l’avversario su un piano meramente fisico e di potenza. Dove, soprattutto in Italia, Kondogbia ha pochissimi rivali (dati alla mano, il francese vince il 60% dei contrasti a cui prende parte). 

Ecco quindi che l’ex Monaco non ha ancora i mezzi per cambiare da solo il volto di una squadra, tramutando un gruppo arrivato ottavo in un team da Champions League. E’ però indubbio che abbia colpi fuori dalla norma (come già dimostrato nell’amichevole contro il Carpi qualche giorno fa tra tunnel e colpi di tacco) e che il gioco in verticale (chiedere a Palacio, sempre contro il Carpi) costituisca un altro elemento importante del suo bagaglio tecnico. Rispetto agli inizi, è migliorato anche nella gestione del primo pallone davanti alla difesa, perché posiziona meglio il corpo e sa giocare ad uno o due tocchi, senza essere ossessionato dal portare palla o dall'arrivare fino in porta con il pallone, anche se comunque bisogna lavorare su quest'aspetto: tira pochissimo, preferendo il passaggio, o comunque preferisce non presenziare troppo palla al piede sulla trequarti offensiva, decidendo per l'inserimento o la fase conservativa. 

Ci troviamo di fronte ad un giocatore in ascesa, i cui ventidue anni impallidiscono di fronte alle caratteristiche tecniche di cui dispone. Kondogbia è reduce dalla sua migliore stagione. Che il trend non si fermi e l'anno prossimo riesca a mostrare dei netti - e decisivi - miglioramenti? Mancini, e tutta l'Inter con lui, se lo augurano.  

Sezione: In Primo Piano / Data: Ven 17 luglio 2015 alle 17:50
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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