Bella intervista di Repubblica a Sandro Mazzola, tra ricordi di inestimabile valore e qualche aneddoto rintracciato nella memoria.

Sandro, cosa ricorda di quando a Superga morì il grande Valentino?
"Avevo sei anni e mezzo. La mamma mi portò dai nonni a Cassano d’Adda, per proteggermi. Abitavamo vicino al campetto sportivo, dove giocavo a pallone con gli altri bambini. C’erano queste persone che venivano ad accarezzarmi e mi parlavano in dialetto: ci misi un bel po’ di tempo a rendermi conto che mi stavano dicendo che il mio papà era morto".

È stato un peso essere il figlio di una leggenda?
"Sì. I tifosi dell’Inter all’inizio dicevano “quello non sarà mai come suo padre, se si chiamasse Brambilla e non Mazzola non sarebbe qui”. Io ne soffrivo. Tornavo a casa e non mangiavo, andavo direttamente a letto. Quando poi sono diventato davvero un giocatore, ogni volta che tornavo a Torino mi sentivo come intronato: guardavo la basilica sulla collina e mi tremavano le gambe. Mi rivedevo bambino. Quando lo storico magazziniere Zoso mi portò nello spogliatoio del Filadelfia per mostrarmi l’armadietto di papà, mi misi a piangere. Per me, Valentino Mazzola era il cimitero, i fiori e le lacrime di mia mamma".

È vero che il mitico Puskas le parlò di lui dopo la finale di Coppa dei Campioni del 1964?
"Battemmo il Real Madrid a Vienna e io segnai due gol. Dopo la partita, aspettai Puskas davanti alla porta del loro stanzone: uscì, mi venne incontro e mi disse “bravo, io ho giocato con tuo padre e posso dire che forse sei degno di lui, forse”. Non capii più niente dalla gioia".

Erano in tanti a raccontarle di Valentino?
"Gianni Brera mi disse che era stato il più grande giocatore italiano della storia. Anche per Boniperti era così. La Juve cercò due o tre volte di comprarmi, ma io quella maglia non avrei mai potuto indossarla. Un altro che mi parlava di papà era l’artigiano calzolaio di via Olmetto, a Milano, che gli cuciva gli scarpini da gioco. Ci andai anch’io: ero solo un ragazzo, e dopo si trattava di pagarle. Risparmiavo 25 lire a settimana sulle corse dei tram che l’Inter mi rimborsava, andavo a piedi e così mi compravo le scarpe. Oppure, me ne facevo passare un paio da qualche giocatore più anziano, solo che mi andavano sempre larghe. Quando finalmente diventai titolare, quell’artigiano le scarpe me le fece gratis".

Per molti anni, lei non ha voluto parlare di Valentino Mazzola: perché?
"Mi sembrava di non essere degno, in fondo che c’entravo? Un dolore grande che preferivo tenere per me. Poi s’invecchia e le cose cambiano". 

Sezione: Focus / Data: Lun 25 marzo 2024 alle 11:16 / Fonte: Repubblica
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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