La vittoria (con aiutino) del Napoli contro il Genoa, ha probabilmente disilluso anche il più inguaribile ottimista in casa Inter. Il terzo posto è lontano dieci punti. Tanti, troppi. Soprattutto per questa squadra che non decolla, anzi, è alle prese con un motore che continua a battere in testa. La sconfitta con il Torino è figlia della sfortuna, la brutta prestazione no, nonostante il Mancio si affanni a spiegarci che domenica, sotto il sole che baciava il Meazza, sia mancata solo la giocata vincente negli ultimi 30 metri.

Premetto che chi scrive ritiene Roberto Mancini uno dei migliori allenatori della gloriosa storia dell'Inter, paragonabile ai vari Herrera, Trapattoni, Mourinho. Insomma, quelli che hanno regalato alla Beneamata trofei a ripetizione e prestigio. Qualcuno ora cerca di bollarlo come bluff, ma quando il palmares recita vittorie in ogni piazza dove abbia allenato il Mancio, penso che bci si debba solo inchinare ai numeri. Detto questo, quelli attuali condannano il tecnico, che in nove partite di campionato ha ottenuto solo due vittorie, quattro pareggi e tre sconfitte, due delle quali in casa.

Mancini ha riportato l'entusiamo tra i tifosi che ora vanno allo stadio in buon numero e si è rivelato valore aggiunto in sede di mercato, visto che, grazie al suo carisma e capacità di convincimento, sono arrivati e ancora arriveranno alla Pinetina giocatori importanti, rapportati al momento economico del club assai delicato. E in alcune partite, o frazioni di partite, miglioramenti importanti si sono visti anche sul piano del gioco e della personalità della squadra in campo. Tralasciando il derby e la trasferta di Roma, impegni troppo vicini al cambio di conduzione tecnica, il secondo tempo di Torino contro la Juventus è, a mio avviso, l'emblema del credo manciniano. L'Inter aggrediva il pur più forte avversario, non aveva paura di osare, cercava di giocare da grande come blasone impone. Belle cose si sono riproposte nel secondo tempo con la Lazio, nel primo tempo con il Genoa, nella sfida secca di Coppa Italia contro la Sampdoria, nonostante il vantaggio della superiorità numerica per quasi tutto il match.

Ma contro Empoli e Torino si è tirato, bruscamente, il freno a mano. Domenica scorsa l'Inter ha sempre tenuto il pallone, lo ha fatto girare a destra e a sinistra facendo presagire che prima o poi ci fosse l'imbucata vincente. Ma la giocata decisiva non è mai arrivata perché sono mancati il cambio di passo e la qualità dei giocatori chiamati ad agire in attacco. Il 4-2-3-1 è un modulo affascinante, lo adottano le grandi d'Europa, ma per essere vincente abbisogna di tecnica e velocità. Se Kovacic, invece di saltare l'uomo e di creare superiorità numerica, la appoggia banalmente a chi gli sta vicino, se gli esterni alti tornano sempre indietro invece di puntare con decisione il diretto avversario, se Icardi aspetta il pallone in area invece di dettare la profondità, passano i minuti e si assiste ad un estenuante “vorrei, ma non posso”, che non porta a nulla.

Il problema è che Podolski e Shaqiri da troppo tempo lontani dai campi di gioco, non hanno ancora quella condizione fisica che permetta loro di esaltare le indubbie qualità tecniche. Per Kovacic, altro splendido interprete del gioco del calcio, sembra che ci sia ancora da completare un processo di maturazione mentale che lo porti ad essere leader nella giocata e non banale interprete del compitino. Palacio ce la sta mettendo tutta, ma il maledetto infortunio alla caviglia gli impedisce di arrivare prima sul pallone come invece avveniva puntualmente in passato. Icardi, implacabile goleador quando arriva la palla giusta, si muove però come se giocasse in una squadra con ali vere pronte a sfornare a ripetizione cross dal fondo. E invece, la manovra avvolgente che chiede Mancini avrebbe bisogno di un centravanti capace di venire incontro, fare l'uno-due senza che il pallone vada a sbattere spesso e volentieri sul difensore avversario.

Insomma, al momento i difetti sono superiori ai pregi e la classifica piange. Ma è assolutamente vietato mollare o credere di aver preso un abbaglio. Il manico è di qualità superiore e forse proprio per questo pretende di coniugare la trasformazione tecnica, tattica e mentale della squadra, che richiede tempo, a risultati immediati. In questi frangenti, è fondamentale il ruolo della società e benedette siano le parole di Erick Thohir che ribadisce il valore di Mancini e non crea ulteriori pressioni, spiegando con un sorriso che anche senza l'ingresso in Champions League l'Inter non fallirà.

Il Presidente nerazzurro sottolinea come la Champions, raggiungibile magari conquistando l'Europa League, sia importante soprattutto per il prestigio del club, non tanto per le finanze, anche se, diciamo noi, quel gruzzolo di milioni che regala l'accesso alla fase a gironi non farebbe male. Tant'è. In attesa di vedere all'opera il nuovo arrivato, il forte centrocampista croato Marcelo Brosovic e di salutare magari a breve altri innesti, l'Inter, che dovrà fare a meno degli infortunati Andreolli e D'Ambrosio, dovrà cercare di cambiare marcia già da domenica all'ora di pranzo. A Reggio Emilia ci aspetta il Sassuolo che corre e gioca bene. Come l'Empoli. Antenne dritte dunque e possibilmente la vittoria per non perdere del tutto il gusto dell'utopia. E anche se non sarà per 7-0, potremmo accontentarci.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 28 gennaio 2015 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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