"Partita finisce quando arbitro fischia fine" è una massima che nel calcio moderno non ha più ragione di esistere, con buona pace dell'indimenticato maestro Vujadin Boškov. La guerra delle immagini televisive, oltre ad aver prolungato il tempo di recupero del derby d'Italia di 96 ore, ha sollevato una questione che a mio avviso è di primaria importanza rispetto a ogni altra: vogliamo davvero portare il gioco verso una pericolosa realtà aumentata?
In quest'ultima domanda c'è un 'noi' implicito che riguarda tutti gli attori in scena, nessuno escluso, del mondo pallonaro italico: se il football sul piccolo schermo è diventato così è per una prassi comunemente accettata da giornalisti, vertici federali e spettatori di considerare il film di un match così come mediato dal regista della proiezione stessa.
In poche parole, parafrasando Jean-Luc Godard, il calcio - laddove per il regista della Nouvelle Vague era il cinema - è montaggio. Montaggio delle miriade di schegge impazzite che sono i frame di un match di novanta minuti che, ovviamente, non raccontano solo quello che accade nel rettangolo verde ma contemplano anche i primi piani dei protagonisti o, addirittura, del pubblico (qui il calcio supera persino le opere del grande schermo).
Come è facilmente intuibile, l'onere pesantissimo spetta al 'regista deus ex machina', colui il quale impacchetta e infiocchetta il prodotto da regalare, rigorosamente in diretta, ai telespettatori. Ma non è tutto, d'altronde la faccenda non può essere evasa così semplicemente: nel flusso di coscienza del regista, infatti, si incastonano dei flashback potenti che si configurano nei replay, veri e proprio elementi di post-produzione rispetto al live che spostano il senso della storia (ma solo nella mente del pubblico) senza condizionarla. Nella ripetizione di un'azione già andata in onda, in pratica, c'è la volontà dichiarata di analizzare al microscopio, rallentandolo e guardandolo da angolazioni diverse, un possibile turning point della vicenda, con annesso avvio della macchinazione dei 'se e ma' tanto cara ai propugnatori del senno del poi.
Che, nel caso specifico del match dello Juventus Stadium, sono gli interisti, ovvero quelli che, loro malgrado, hanno dovuto recitare la parte delle vittime, trovandosi costretti ad impugnare prove fotografiche e/o video per ristabilire una post-verità in un tribunale virtuale come è quello della televisione o, ancor peggio, del web.
I suddetti, pur nella consapevolezza di non poter sovvertire la decisione maturata sul campo, si sono rivelati indagatori formidabili andando alla ricerca di quella 'scena del crimine' che potesse essere considerata la prova madre per incastrare l'arbitro Nicola Rizzoli e, di rimando, Juve. La pistola fumante, oltre ai casi da moviola macroscopici vivisezionati dai vari ex arbitri a reti unificate, è stata individuata nel retropassaggio inopinato di Giorgio Chiellini che stava mettendo Mauro Icardi nella condizione di trovarsi a tu per tu con Gianluigi Buffon. Stava, appunto, visto che il fischietto bolognese ha premuto il tasto stop congelando il possibile sviluppo della proiezione dell'1-1 interista.
Il contenuto extra al dvd della gara è stato offerto da Inter Channel, che con una camera professionale, autorizzata per fini tattici, ha alzato il velo su quello che era stato oscurato dalla regia centrale. L'omissione, va precisato a chiare lettere, non ha nulla a che vedere con la parzialità, a meno che qualcuno assuma come incontrovertibile l'assioma che tutti gli esseri senzienti sulla Terra abbiano un punto di vista comune.
Insomma, volente o nolente, il risultato che vediamo proiettato sui nostri teleschermi è frutto di una scelta. (Scoperta dell'acqua calda). Una decisione che è maturata secondo alcune linee editoriali scritte e accettate, come ha fatto notare Popi Bonnici, decano dei registi Mediaset a cui la Lega calcio ha affidato la supervisione della regia di tutte le partite di Serie A, proprio a proposito dell'episodio in questione: "Il regista scelto dalla Lega in quel momento ha deciso di mandare in onda il fuorigioco di Perisic, facendo la scelta giusta. Poi abbiamo avuto una conversazione in mezzo tra Allegri e Dybala che credo fosse interessante per tutto il pubblico. Per vedere quello che accadeva in un momento in cui si racconta che tra i due le cose non vanno per il meglio. Era in preparazione una sostituzione, quindi il regista ha un obbligo di mostrare le sostituzioni quanto più velocemente possibile".
Tutto questo per dire che il calcio è uno sport per sua natura fluido, difficilmente afferrabile in tutta la sua complessità: il Grande Fratello di 18 telecamere e 6 arbitri non può bastare per restituire fedelmente una realtà razionale del minimondo in cui vivono per 90 e passa minuti 22 giocatori. C'è chi suggerisce l'ausilio perfetto della VAR, Video Assistant Referees, per avere finalmente l'utopistica coerenza tra quello che succede sul terreno di gioco e quello che vediamo a casa seduti comodi sui nostri divani: l'ambizione massima in buonissima fede di costoro è lo stabilire una giustizia in campo in un tempo accettabile per non abortire il flusso della gara, il motivo per il quale questo è lo sport più bello del mondo.
In pratica, i sostenitori della moviola in campo intendono sovrascivere un racconto ad un altro già esistente (il racconto del match in tv è già di secondo grado rispetto a quello dello stadio), con il risultato - Juventus-Inter docet - di aumentare il solito spiacevole cicalio polemico attorno all'evento stesso.
Ora chiudete gli occhi e immaginatevi di riaprirli tra qualche tempo neanche troppo lontano per vedere il botta e risposta Marotta-Elkann e Moratti-Zhang delle ultime ore elevato all'ennesima potenza nell'era della tecnologia arbitrale. Puerili chiacchiere da... VAR, lontane anni luce dalle battute argute di Peppino Prisco e Gianni Agnelli. 

Sezione: Editoriale / Data: Ven 10 febbraio 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print