“Ce lo chiede l’Europa”. Un’esclamazione alla quale abbiamo dovuto fare l’abitudine da qualche tempo, in termini di amministrazione del Paese, da parte dei nostri rappresentanti politici. Forse la frase più gettonata da coloro che governano per andare a giustificare determinate decisioni, spesso ritenute impopolari dai cittadini, per evitare di assumersi responsabilità. Il parallelo con la situazione attuale dell’Inter è lampante, naturale. “Ce lo chiede l’Europa”, “ce lo chiede la UEFA”, i limiti del Fair Play Finanziario non lasciano margini di manovra. Prima erano i vincoli governativi cinesi. In tempi di mercato c’è sempre qualcosa di più grande che non permette di operare come si vorrebbe. Vero, fino a un certo punto però. Perché se fosse richiesto un investimento che possa effettivamente pesare in maniera irreversibile sul bilancio di fine stagione, sarebbe da sprovveduti ignorare tali condizioni e rischiare grosso anche per le stagioni a venire, dopo la fatica fatta in questi anni passati. Ma finché le somme da mettere a disposizione non superano la soglia dei 20, 30, esagerando 40 milioni, risulta ormai difficile accettare di sentire che è per colpa di altri se la medesima non può essere elargita.

Spalletti ha fatto un grande lavoro sin qui, è innegabile. Ha recuperato giocatori che molti davano per persi, finiti, ai margini di un progetto tecnico che negli anni non ha mai trovato una continuità a causa dei continui ribaltoni in panchina. Ma non bisogna commettere l’errore di prendere come assodato l’equilibrio ritrovato dall’Inter, gli scricchiolii ci sono ancora e le ultime prestazioni ne sono la prova. Non si devono sprecare i sacrifici dell’allenatore e del suo staff, così come quelli dei calciatori che hanno conquistato sul campo 41 punti. E’ merito loro, glielo riconosco tutti. Però il passettino in avanti di cui parla il tecnico di Certaldo serve farlo. E lo deve fare la società in primis. “E’ difficile trovare giocatori più forti di quelli di cui disponiamo”, ripetono ad ogni prepartita. E puntualmente, ogni fine gara, vengono smentiti. Non perché quelli in rosa ora siano scarsi, bensì perché non sono fenomeni. Sono buoni giocatori che sotto la cura Spalletti riescono a rendere al meglio, pur mantenendo i propri limiti (ed è proprio qui che vanno elogiati per lo sforzo e il lavoro che svolgono per non farli pesare sulla squadra). Ogni organico può essere migliorato, dal Real Madrid al Bayern Monaco sino al PSG. Ognuno alza la propria asticella in base alla qualità e alle caratteristiche di cui già gode. L’Inter non ne è esente.

Il tecnico ha chiesto a più riprese che la società prendesse posizione e si esponesse, per non illudere i tifosi. Per fare chiarezza. Ufficialmente non sono arrivate dichiarazioni pubbliche che spieghino la situazione, le problematiche e le soluzioni, se non per bocca dell’allenatore stesso proprio ieri in conferenza stampa: “Possiamo fare nomi: Mkhitaryan, Pastore, Verdi, ci vogliono 30 milioni e non li abbiamo. Per cui è inutile girarci intorno. Oppure ci vuole un altro club che vuole fare uno scambio”. I direttori Ausilio e Sabatini hanno le mani legate. Non possono lavorare in un mercato che ha perso ogni logica economica con budget zero. Non si può migliorare una rosa senza avere liquidità minima con la quale trattare. Sono ministri senza portafoglio di un governo, quello interista, che necessita di denaro. Un compito obiettivamente arduo. Gli interrogativi dunque non possono che aumentare: perché non gli è concesso usufruire di risorse nell’immediato? Perché si procede con la linea dell’autofinanziamento? E soprattutto, la politica aziendale dei proprietari, continuerà a rimanere tale anche quando a giugno, bilancio permettendo, il FFP non sarà più la giustificazione da dare per non incorrere in lamentele?  Per ora ce lo chiede l’Europa, per l’estate chissà.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 05 gennaio 2018 alle 00:00
Autore: Filippo M. Capra / Twitter: @FilMaCap
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