Glielo leggi negli occhi o, fuor di metafora, nel modo sereno e disciplinato in cui sta in campo, nella serenità con cui reagisce ai colpi e agli inizi arrembanti dell’avversario di turno; soprattutto, lo capisci quando non hai mai quell’impressione vissuta tante volte negli ultimi anni, quella per cui prima o poi le cose andranno male, nonostante tutti gli sforzi e nonostante una gara fin lì in equilibrio. Al contrario, è come se tutti intorno alla squadra fossero autorizzati dai fatti a credere che, alla fine, l’Inter uscirà dal campo coi tre punti in tasca, anche laddove la gara si mostri inizialmente ostica e minacci di poter diventare quel passo falso che a lungo è stato temuto, e che adesso pare cosa lontana e difficilmente pronosticabile. Il bello è che questa impressione non è solo roba per chi la gara la guarda dall’alto o da un monitor: è un fatto prima di tutto calcistico e, in quanto tale, scommettiamo che si avverta tanto più forte quando questi ragazzi te li trovi di fronte in campo, col piglio per nulla arrabbiato e sanguigno, ma piuttosto sereno, quasi rilassato nell’applicazione dello spartito tattico, come capita a chi sta per portare per l’ennesima volta il medesimo spettacolo su un palco, e conosce talmente bene il copione da non temere la gaffe.  

Quando le offese d’amore e d’onore si risolvevano all’alba con caffè o pistole, ogni paese, ogni città conosceva quel tizio che aveva combattuto decine di duelli senza mai uscirne sconfitto, e aveva sempre lavato il disonore recato o subito con la propria impassibile freddezza; l’avversario di turno, chiamato al duello dalle ineludibili regole cavalleresche, era già tristemente consapevole dell’esito finale, e lo diventava ancor di più quando nella foschia mattutina incrociava il famoso sguardo di ghiaccio del nemico. Poi, per carità, una volta che sei lì ci provi, ma questa predisposizione d’animo, propria di chi sa in partenza che sarà l’altro ad avere la meglio in qualche modo, finisce per annichilirti nello spirito e nei riflessi.  Ecco ciò che capita alle avversarie dell’Inter in questa stagione. In Serie A, reame in cui la tattica è ancora incontrastata padrona, tutti preparano le partite a puntino, qualcuno con contromisure persino chirurgiche. Che la squadra di Spalletti abbia trovato nella fascia destra il proprio punto di forza, e spesso pure la fonte del gioco, è ormai cosa nota e risaputa per ogni avversario: di qui le contromisure adeguate, i raddoppi, il pressing asfissiante portato all’inizio da chi vuole impressionare l’avversario nell’estremo tentativo di limarne le sicurezze. Nulla da fare: D’Ambrosio taglia e cuce, Candreva corre verso il fondo, palla dentro e di lì a poco gol di Icardi. A parole, l’Inter è questa, un qualcosa che dunque sarebbe prevedibile alla vigilia e facilmente arginabile in campo. Eppure, cross dalla destra e gol di Icardi, e nessuno sa opporsi a questo schema apparentemente elementare, ma senz’altro ineluttabile.

Elementare, più che altro, è il riconoscere come questi calciatori, e se vogliamo l’ambiente tutto, abbiano contratto un debito di grossa entità con Luciano Spalletti. Gli occhi di ghiaccio con cui i nerazzurri si presentano ad ogni appuntamento, comodi in quel sottile equilibrio che esiste tra un piglio arrendevole e una determinazione nervosa e dunque pericolosa, è senz’altro una creazione del tecnico di Certaldo. Se in conferenza, infatti, Spalletti non perde mai l’occasione per richiamare l’Inter a quella grandeur che in qualche modo è connaturata alla casacca nerazzurra, va da sé che possiamo soltanto immaginare quanto l’ex Roma martelli i suoi ragazzi in settimana, al fine di convincerli che possono essere ciò che molti di loro non sono mai stati, grandi giocatori in un contesto grande. In partita, poi, Spalletti si eleva a fenomeno, con la chirurgica capacità di leggere l’accaduto e di prevedere quanto ancora deve manifestarsi nell’economia della gara: la variante tattica con la quale ha ridisegnato ieri sera l’Inter, passando alla difesa a tre e a un inedito Perisic mezzala nel tentativo di evitare l’uno contro uno dei centrali con le punte avversarie e di limitare lo strapotere sciorinato dal Cagliari a centrocampo, è soltanto l’ultima perla di una preziosa collana di capolavori. E così, in una serata in cui è tornato umano anche Milan Skriniar, simbolo per eccellenza del nuovo corso nerazzurro che si è lasciato sfuggire Pavoletti nell’indecisione tra un tentativo di anticipo e un rigido posizionamento sull’uomo, l’Inter non ha mai vacillato, né davanti al forcing iniziale degli avversari né, poi, quando i padroni di casa hanno accorciato le distanze. Nessuno, sugli spalti o sul divano, ha mai temuto la beffa del pari finale, e siamo pronti a scommettere che anche in campo le percezioni fossero analoghe. Con quest’Inter, nell’animo, parti già un po’ sconfitto. Certo, anche l’infallibile duellante prima o poi una pallottola se l’è beccata, e la sua camicia si è tinta di rosso sulla manica: la legge dei grandi numeri vuole che l’Inter prima o poi conosca l’amaro della sconfitta, ma la sua attitudine lascia credere che, la volta seguente, tutto tornerà come oggi. Lassù bisogna correre, se ci si vuole restare, ché nessuno sbaglia un colpo: la testa, però, è quella giusta, e forse è proprio l’Inter, tra tutte, quella che pare meno propensa a scivolare, forte com’è dei suoi occhi di ghiaccio, con la pistola fumante e il ghigno sereno di chi vince quasi per abitudine.

Sezione: Copertina / Data: Dom 26 novembre 2017 alle 08:15
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
vedi letture
Print