"Quando il presidente Gravina, alla fine di marzo, chiese al sottoscritto, in qualità di coordinatore della Commissione Medica Federale, di valutare la possibilità di riprendere più avanti gli allenamenti collettivi, mi resi subito conto che la prova era veramente difficile. Gli altri sport si erano fermati e non tutti erano d’accordo sulla ripresa del calcio professionistico. Ci voleva coraggio e tanta… pazienza. Il resto lo hanno fatto le motivazioni, valide, che ci diede il presidente e la sua vicinanza". Intervistato dal Corriere dello Sport, il professor Paolo Zeppilli racconta i passaggi della stentata ripartenza del calcio in Italia. 

Sia sincero, ha mai pensato “il calcio per quest’anno non ripartirà”?  
"Mai. Sono ottimista di natura, altrimenti non avrei potuto iniziare un lavoro del genere o mi sarei fermato dopo due giorni... Ho avuto dei dubbi, ma solo per qualche ora, quando la A insisteva per non fare il ritiro iniziale di 2 settimane propedeutico alla ripresa degli allenamenti. La notte dopo quella decisione ho riflettuto sul modello più “aperto” ovvero con i calciatori che tornavano a casa dopo ogni seduta. Sapevo che il rischio di contagio in queste condizioni è maggiore, ma ho anche realizzato che poteva essere una svolta e così è stato".  
 
In questi mesi di lavoro c’è stato un momento in cui invece si è davvero arrabbiato?  
"Sì, quando qualche giornalista ha scritto che io avevo intimato ai medici della Serie A di ubbidire al protocollo. Quelle frasi, che non avevo pronunciato perché non fanno parte del mio stile, mi misero contro Nanni (rappresentante dei medici della A, ndr) che conosco da 30 anni. Nella riunione di fronte al Cts mi ero limitato a dire che i medici di A, pur non del tutto d’accordo con il protocollo, sono dei professionisti di alto livello, che lavorano per squadre importanti e che, pur avendo delle difficoltà, si sarebbero organizzati per seguire un protocollo non facile. Tutto qua. C’è un verbale che testimonia le mie affermazioni". 

È stato più complicato stilare il protocollo o lottare contro i pregiudizi di chi voleva che il calcio non ricominciasse?  
"Lottare contro i pregiudizi e contro il partito di coloro che non vedevano di buon occhio la ripartenza. Se n’è reso conto anche il presidente Gravina per questo all’inizio il nostro è stato un ragionamento basato sulla speranza, sul miglioramento futuro della situazione. Per fortuna non ci sbagliavamo".  
 
Adesso manca solo il pubblico negli stadi...  
"Se i contagi non risaliranno, è possibile nelle prossime settimane qualcuno possa entrare a vedere le partite. Il calcio così tornerebbe ad essere più vero". 

Realisticamente quando rivedremo i tifosi sugli spalti?  
"Bisogna andare per step perché il virus “gira” ancora, in alcune regioni di più e in altre meno. Sappiamo meglio come combatterlo e adesso per fortuna i malati che finiscono in terapia intensiva sono molti di meno rispetto a prima. Un segnale che il virus ha perso una parte della sua carica infettiva. Sapere che la situazione non è più drammatica come all’inizio è un sollievo, ma questo è un virus carogna, molto più di quello della Sars o del Mers che non hanno certo fatto questi disastri. Il coronavirus ci ha colti di sorpresa, ma abbiamo reagito bene nonostante fosse davvero molto aggressivo". 

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Sezione: Rassegna / Data: Ven 26 giugno 2020 alle 11:27 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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