La Gazzetta dello Sport torna a esporre il proprio pensiero sul razzismo nel mondo del calcio, partendo ovviamente dall'ultimo caso, quello della Sardegna Arena con protagonista Romelu Lukaku. "Il calcio in Italia è quello sport che si gioca tra due squadre, undici contro undici, e alla fine l’ultrà vince - si legge -. È stato così per anni. È così anche oggi. Niente di nuovo, dunque? Non proprio. Gli insulti a Lukaku e le grottesche difese arrivate da Cagliari fanno parte di un armamentario già visto. Come pure la documentazione negazionista di chi avrebbe dovuto certificare allo stadio la quantità di insulti razzisti piovuti dalla curva e che, invece, come al solito, guarda caso, ha messo nero su bianco che non aveva sentito niente. Che non era successo niente. Troncare e sopire. Se arriverà una sanzione è solo perché dopo il clamore mediatico non se ne poteva fare a meno. Fin qui, purtroppo, nulla di nuovo".

"Il comunicato della curva nerazzurra in difesa di quella del Cagliari, invece, qualcosa di nuovo dice - sottolinea la rosea -. Dice intanto che la saldatura tra ultrà è molto profonda. Si era già capito dalle diffuse celebrazioni di Diabolik in molti stadi di molte città, ma certo le righe della Curva Nord nerazzurra ne hanno evidenziato la plastica potenza. In quelle righe viene in sostanza ribadito il concetto che in quello spazio chiamato stadio gli ultrà riconoscono e rispettano soltanto i loro codici. Non altri. Quello che per tutti è un insulto razzista per loro non lo è. È un modo per disturbare e innervosire gli avversari. Lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo. Un manifesto programmatico firmato dagli ultrà dell’Inter, ma è come se lo avessero sottoscritto gli ultrà di qualsiasi altra squadra. Il comunicato dice poi un’altra cosa. Che anche l’Inter s’è arresa agli ultrà. L’ha fatto restando in silenzio, senza difendere Lukaku, lasciandolo solo. In contraddizione aperta con le battaglie sociali sempre sostenute da questo gloriosissimo club, che già nel nome, Internazionale, ha iscritta la propria vocazione multiculturale, aperta, accogliente, moderna".

"Tuttavia buttare la croce addosso alle società, come se l’origine di tutti i mali del pallone nasca dal rapporto incestuoso tra club e ultrà (che pure esiste sia chiaro) è sbrigativo, superficiale, perfino omissivo - puntualizza la Gazzetta -. Quando in uno stadio i codici della convivenza civile vengono sostituiti da altri codici, non è cosa che riguarda soltanto le società di calcio. Riguarda lo Stato. Come riguarda lo Stato se compaiono striscioni offensivi, razzisti, antisemiti. Al punto in cui siamo arrivati c’è bisogno innanzitutto del Viminale, poi degli steward. Restituire gli stadi alle famiglie è un obiettivo al cui conseguimento dobbiamo concorrere tutti. Consapevoli che non sarà facile".

Sezione: Rassegna / Data: Gio 05 settembre 2019 alle 10:00 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
vedi letture
Print