Momento decisamente difficile per l’Inter, analizzato dall’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport. Mai la formazione nerazzurra ha avuto un momento così complicato nella sua storia, con un distacco così ampio dalla vetta (24 punti) e così pochi punti fatti (26). “Sono il frutto di 7 sconfitte – peggio solo 4 volte: 9 nel 1946-47, 8 nel 1930-31, 1955-56 e 1957-58 – e appena 6 vittorie (peggio solo nel 1941-42 e 1946-47: 6 successi). Il 13° posto è un altro abisso: i nerazzurri hanno fatto peggio solo nel 1946-47, quando erano 14esimi. Non benissimo, no - si legge sulla rosea -. Il Mancio è al momento zero: o riparte da qui o il miele si esaurirà. Cifre da brividi: un punto a partita rende l’idea pienamente. Pareva bastasse la sua personalità e il suo indirizzo tattico per uscire dalle secche: macché, ora sono sabbie mobili. Lui per primo è convinto di farcela. La sua più grande leggerezza (in una squadra ereditata senza regista vero) è stata quella di piantare le tende del gioco con quegli uomini a disposizione: ha pensato prima al modulo (4-2-3-1) cercando di adattarci i giocatori anziché il contrario. Ma l’impianto non è riuscito. Rigetti. Un esempio: l’esperimento di Guarin davanti alla difesa è riuscito un tempo e un po’ contro il Genoa e poi l’anarchia e l’incostanza del colombiano hanno sempre avuto il sopravvento. È stata una bella illusione, vederlo utile lì. Ma lì, Guarin non va. E non può starci, perché con l’incostanza che propone mette in difficoltà una difesa già debole. Tanto valeva metterci Hernanes, con Medel, ma non Kovacic che non ha lo spessore per stare lì. Mateo che - però - non sa ancora galleggiare fra le linee come un vero trequartista, e anche qui la scolarizzazione non procede”.

E ancora: “Altro esempio: Podolski. Pochi lampi, pochi sprazzi, pesantissimo e con rari e lenti rientri: non è lui, e aver insistito su un giocatore sì stravoluto ma palesemente non scattante nei 3 dietro al centravanti è un’aggravante. Poi, Icardi. Nel 4-2-3-1 il numero 9 (ed è per questo che il Mancio è irritato coi non-movimenti di Maurito) deve saper far reparto anche da solo, venendo incontro, proteggendo palla, facendo salire la squadra, dialogando. Higuain è l’esempio. Icardi aspetta che la squadra giochi per lui e mai che succeda il contrario. Mancini non gli ha ancora lasciato il timbro (sgridata post Sassuolo a parte): e anche qui il Sudoku è incompleto. Va anche detto che Mancio ha due attenuanti: la squadra è un Frankenstein di scelte opposte, quelle conservative e muscolari di Mazzarri e quelle del Mancio che predilige i piedi buoni e la qualità a ogni latitudine del campo. Il Frankenstein-Inter ha anche un vizio nel dna: non ha personalità, è fragile, al primo schiaffo si abbatte, se trova un Empoli che gli nasconde la palla manovrando in rapidità va in confusione, magari naufraga. Ecco: il carisma del Mancio non ha fatto breccia, in questo. Una volta era più schietto, arrabbiato, elettrico; ora è molto british , pur mantenendo fermezza in circostanze particolari. Ecco: quelle circostanze dovrebbero diventare quotidianità. Più frusta che carezza insomma. Mazzarri andava anche oltre, nel senso che era ossessionante; Mancini, a volte, si ferma un passo prima della scossa tellurica. Domanda: perché mantenere due giorni liberi (nel totale) dopo il k.o. in casa contro il Torino? Annullare un giorno o anche un solo riposo sarebbe stato un bel segnale, anche se in questo caso deve pure intervenire la società. 

Poi, il gioco: un tempo col Genoa, qualche sprazzo di una squadra che mastica bel calcio, partite riprese, cosa che ora non succede più. A un certo punto è sfumata l’intensità necessaria per dare continuità al gioco, e la cattiveria che uno alla Mancio deve saper dare: col Torino sembrava l’Inter ruminante pre-manciniana. Ed era il primo segnale da evitare. E che tutti dovrebbero voler evitare”, conclude l’analisi il quotidiano.

Sezione: Rassegna / Data: Mar 03 febbraio 2015 alle 11:02 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Redazione FcInterNews.it
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