"Non esiste una logica perché è una situazione mai esplorata. Esistono però dei valori tecnici e umani delle squadre. E questi vengono esaltati nei momenti di difficoltà. Dunque vincerà sempre chi ne avrà di più". Lo dice Alessandro Del Piero, intervistato oggi dalla Gazzetta dello Sport.
Piano A: si ricomincia a giocare. Potrebbe pesare di più la rosa lunga della Juve o l’entusiasmo della Lazio? L’Inter è ormai tagliata fuori?
"Assolutamente no, nessuna favorita. La Juve è un po’ più avanti, per qualità assoluta. Ma nulla è scontato".
Piano B: non si gioca fino a settembre. Più giusto completare la stagione e comprimere quella seguente oppure concentrarsi sul 2020-21?
"Non posso dare un giudizio, come credo nessuno, perché vanno analizzati i fatti e soprattutto le condizioni sanitarie. Ma sportivamente è meglio finire la stagione, attendere il verdetto del campo. Tutto il resto è una forzatura da evitare, finché sarà possibile".
Come si potrà ripartire?
"La priorità è sempre e comunque la salute di tutti, dunque serve il massimo livello di sicurezza. Ma la seconda priorità deve essere quella di ripartire per affrontare l’altra emergenza: quella dell’economia, dei posti di lavoro. Io credo che tutto questo vada considerato anche quando si parla di futuro dello sport professionistico. Non mi piacciono i discorsi demagogici di chi quasi criminalizza chi sta provando a rimetterci in marcia. Per questo dico che quando si avrà l’ok dei medici sarà giusto tornare a giocare, dapprima ovviamente a porte chiuse. E dunque quello che possiamo fare oggi è continuare a lavorare, studiare le formule dei campionati, i calendari. Questo non vuol dire soltanto tornare a una vita se non normale almeno più normale, ma soprattutto pensare a come far ripartire un movimento che dà lavoro a tante persone. Credo che questo non voglia dire assolutamente mancare di rispetto alla vera priorità, ovvero la salute. La preoccupazione per il futuro c’è in tutti i campi, ovviamente anche per il calcio in generale, non solo per la serie A. Penso pure alle categorie inferiori. Proprio questo è il momento di triplicare le forze: per ripartire e per cambiare davvero. Non so cosa accadrà, ma so che non ci si può più nascondere. Se ne può uscire solo come un sistema, impossibile pensare che solo una parte ci debba lasciare qualcosa. Penso di sapere cosa non deve fare più parte del nostro futuro, ovvero le logiche che guardano solo al presente, senza prospettiva imprenditoriale, senza visione. Tutti oggi devono fare la loro parte, se serve anche noi ex giocatori, quelli che hanno qualcosa da dire o da proporre per il bene del nostro sport. Ovviamente perché se lo meritano, e non per meriti acquisiti in passato".
Quali priorità vanno affrontate prima di altre?
"Credo che un ridimensionamento complessivo delle cifre in ballo sia ormai inevitabile. L’equilibrio tra costi (stipendi, commissioni, mediazioni e costi accessori) e ricavi (stadio, diritti tv, merchandising) deve garantire al club non sopravvivenza, ma longevità e di essere meno dipendente da pochi risultati. Va poi affrontato il problema del rapporto con il pubblico: il calcio italiano si è isolato, è distante dalla gente, sia nell’immagine (spesso sbagliata) che si sono fatti loro malgrado molti calciatori, sia per il problema degli stadi, inadatti alle famiglie. Quello è il pubblico da coinvolgere: dobbiamo prenderci quella gente, i ragazzi, le donne (a proposito, il calcio femminile!). E aprirci a una dimensione più “americana” nella gestione delle leghe professionistiche e del calcio come sport e show, pur mantenendo la nostra specificità e tradizione europea. Poche regole, niente deroghe, ossessione per il livello dello spettacolo, dell’immagine e della competitività".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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