Diego Lopez oggi ha 47 anni e di mestiere fa l'allenatore, ma da calciatore vanta anche 39 presenze con l’Uruguay e una Coppa America nel 1995. Intervistato dal Corriere dello Sport, spiega la difficoltà per i sudamericani di affrontare i lunghi viaggi durante la sosta per le nazionali. "Quando sei giovane lo fai - racconta l'uruguaiano -, hai voglia, e per un uruguagio significa tanto: lasci ogni cosa per andare a vestire la maglia della tua nazionale. Ma con gli anni la vedi in un altro modo. Dici: mi paga il club. Quando è arrivato Tabarez, io ho fatto una scelta. Avevo poco più di trent’anni e mi sono detto basta, in nazionale non ci vado più". 

Troppo stress?
"Non facevo bene, non reggevo. Forse mi sono perso il Mondiale nel 2010. Quando arrivò il Maestro, nel 2006, io avevo già in testa di lasciare. Giocavi, poi andavi a Roma, volo per Madrid, da lì a Buenos Aires o Montevideo, partita, ritorno. Guardate che non è facile".


La pandemia ha intensificato tutto. I sudamericani giocano tre partite in meno di una settimana. 
"E così diventa tutto ancora più difficile. Chi paga è la società, e ovviamente i giocatori. Tornano e non sono al cento per cento, sono stanchi. Speriamo si risolva, almeno con due partite è più gestibile". 

I viaggi dei giocatori impattano anche sullo spettacolo? Questa settimana ci sono Lazio-Inter e Juve-Roma.
"Secondo me sì, anche perché i giocatori sono persone, sono umani. Magari nel primo tempo uno regge, gioca in un certo modo, ma nel secondo si fa sentire la stanchezza e ne risente tutto". 

Esiste una soluzione per limitare tutto?
"Non lo so. Di sicuro è impossibile che si possano fare i Mondiali ogni due anni. Perché non c’è solo quello: le qualificazioni dove le lasci? Non si può arrivare a un accordo con il club, sono i club che pagano e vogliono avere i giocatori".

Sezione: News / Data: Gio 14 ottobre 2021 alle 22:33
Autore: Alessandro Cavasinni
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