Marco Ardemagni, co-conduttore di Caterpillar AM su Rai Radio 2, ha presentato il suo libro “Ininterrottamente Inter – Entomologia di un’Epopea”. Intervistato dalla redazione di Maidirecalcio.com, ha parlato della sua passione per i nerazzurri. Ecco la sua intervista:
Il tuo libro presenta delle particolarità dal punto di vista stilistico, con le cosiddetteinterfazioni, l’uso dei tautogrammi e del numero simbolico dei 90 capitoli. Perché questa scelta singolare ed estrosa?
“E’ una caratteristica di stampo poetico che mi porto dietro da tanti anni . Sono esercizi di stile che poi ho trasferito anche in ambito narrativo scegliendo una partita di calcio, creando questo esperimento che segue un pò la via tracciata da Georges Perec in poi”.
Se “Ininterrottamente” Inter fosse un giocatore della storia nerazzurra secondo te in chi lo individueresti e perché?
“Per me sarebbe un giocatore razionale ed al contempo un grande classico…direi Mariolino Corso. Lo vidi dal vivo allo stadio segnare uno dei suoi caratteristici gol “a foglia morta” su calcio di punizione, era un Inter-Torino 2-0, tanti anni fa”.
Come è nato Ininterrottamente Inter? La partita che racconti, quella della finale di Champions League 2010 contro il Bayern Monaco, è stata in ballottaggio con altri match significativi della tua squadra?
“Il primo esercizio l’ho fatto su un derby vinto dall’Inter 4-0, era la partita di esordio di Wesley Sneijder. Lì portai avanti questo tipo di narrazione sul mio blog per un solo minuto. Altri amici mi hanno fatto notare che avrei potuto indirizzarmi anche sulla semifinale sempre di quella Champions, al Camp Nou, Barcellona- Inter, che però per quanto sia stata bellissima fu un match molto sofferto per noi, concluso con una sconfitta, per fortuna indolore ai fini dell’accesso alla finalissima. I primissimi schizzi li ho fatti però con delle descrizioni dettagliatissime di due gol di Thiago Motta, uno sempre in un derby ed un altro nei primissimi minuti di un 3-1 al Meazza contro il Napoli, nella prima partita in panchina di Leonardo. Avevo “ritratto” le azioni secondo per secondo e poi da lì è nata l’idea di “amplificare” il tutto ad un intero incontro, anche se non mi sono basato sulla cronaca fatta in diretta su Radio 2 per “Catersport”, quanto piuttosto sulle azioni salienti visionate con calma a casa”.
C’è un giocatore o un allenatore che assimileresti ad una composizione poetica?
“Sicuramente non Mazzarri, lui è molto poco poetico, è prosa pura. Direi Hector Cuper, che aveva un qualcosa di malinconico”.
Da interista come vedi la svolta societaria ma che più senza problemi possiamo anche definire storica in seno all’Inter, in merito al passaggio di consegne da Moratti a Thohir?
“Sono del tutto favorevole, ho anche scritto un pezzo sul mio blog dal titolo “Milano siamo noi”, che è anche lo slogan usato dai tifosi del Milan negli ultimi mesi, per i quali l’Inter che passa in mano straniera perde la sua “purezza”. Ma secondo me invece è molto milanese, molto napoletano, molto newyorkese aprirsi ai contributi dei personaggi stranieri. Milano è diventata grande perché in passato ha saputo accogliere la tanta gente che veniva da fuori. Basti pensare che i cognomi tipici della città sono Mandelli, Oggioni, Vimercati…grazie allo sforzo di questa gente Milano è diventata grandissima. I tempi sono diversi, una volta in 8 ore si arrivava a Milano dal lago di Como, oggi con lo stesso tempo arrivi da Giakarta. La mentalità milanese è aperta al giorno d’oggi a questo cosmopolitismo, e quindi accogliendo Thohir gli interisti sono più “milanesi” dei milanesti”.
L’interista è storicamente un “bauscia”; tu ti senti tale?
“Una cosa che non sopporto degli interisti e che sono eccessivamente criticoni, appena un giocatore sbaglia due passaggi consecutivi partono i fischi, anche dalla tribuna. C’è un pò di supponenza nel giudicare subito un calciatore “non da Inter”. E’ un atteggiamento che non aiuta né la squadra né chi scende in campo. Questo è essere bauscia”.
Capitan Zanetti: cosa significa per il tifoso interista? Com’è per il tifoso nerazzurro passare vent’anni con un giocatore e crescere praticamente assieme?
“E’ molto bello. Prima di calciopoli sembrava il simbolo della sfiga, come se fosse stato colpito da una sorta di maledizione che lo teneva lontano dalla vittoria, eccettuando la conquista della Coppa UEFA nel 1998. Stava diventando una sorta di simbolo dell’impotenza dell’Inter, poi è rinato anche in seguito alla scoperta di alcuni giochi di potere. Devo essere onesto, non avrei mai pensato che Zanetti sarebbe riuscito un giorno ad alzare la Champions League, e vedere quel sogno realizzarsi è stato commovente. Per quanto riguardo il rendimento in campo il Capitano è ormai uno dei pochi giocatori in attività che riesce ad emozionarti, l’età lo costringe a prendersi delle pause ma ad ogni partita magari prende un pallone sulla linea difensiva e lo porta fino in area avversaria. Ti regala una o due giocate che infiammano il pubblico, incarna tutti i valori positivi concepibili, trascina i compagni e gli spettatori, e tutto questo lo fa anche ora a 40 anni. E’ il classico emblema del calcio romantico, anche se secondo me a volte non ha saputo uniformare la squadra ai suoi livelli morali. L’Inter è stata parecchie volte una squadra litigiosa, basti pensare alla famosa rissa di Valencia. Ebbene, in questi episodi Zanetti non è stato leader perché nonostante il suo carisma non è riuscito ad evitare questi parapiglia. Ma resta uno dei giocatori più rispettati di sempre”.
Ti capita mai di paragonare alcune circostanze della vita ad episodi legati al mondo dello sport?
“Diciamo che il Milan è una metafora perfetta del suo proprietario, che tutti conosciamo; lo ritengo una persona ottima a farsi gli affari suoi, pessima per il paese. Il Milan è proprio così, quando c’è stato da dare un pò di aiuto alla Nazionale soltanto tre o quattro giocatori rossoneri sono stati presenti dall’inizio nelle quattro finali di Coppa del Mondo giocate dall’Italia: Pirlo, Gattuso, Baresi e Collovati, molto pochi su quasi 50 giocatori più le sostituzioni. Furono milanisti tutti quelli che hanno sbagliato i rigori decisivi: Serena, Baresi, Baggio, Massaro, Albertini…l’unica eccezione dovrebbe essere Gigi Di Biagio che colpì la traversa dal dischetto ai mondiali di Francia ’98 contro i padroni di casa. E Maldini e Baresi, i due grandi eroi del calcio berlusconiano, non hanno mai vinto un mondiale. Per farla breve il Milan è sempre stato ottimo a farsi gli affari suoi, meno quelli dell’Italia. Una cosa che mi capita spesso è associare alcuni ricordi personali a delle partite, per esempio il giorno del battesimo di mia figlia c’era Inter-Cagliari 2-1. Una sorta di agenda tutta personale”.
Autore: Redazione FcInterNews / Twitter: @FcInterNewsIt
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