E’ un tema che ritorna ciclicamente, quasi come l’influenza, le tasse da pagare o la corsa ai regali natalizi, che anche quest’anno si sta avvicinando inesorabilmente. L’oggetto in questione è la famosa, o famigerata fate voi, Superlega europea: il progetto, del quale si cominciò a fantasticare già alla fine degli anni ’90, sotto la spinta del celebre G-7,  di creare un campionato chiuso a livello europeo dove concentrare tutti i più blasonati club del continente. Una volta la si usava come minaccia verso l’Uefa e le sue politiche, per scongiurare la quale venne sostanzialmente creata la Champions allargata come la conosciamo adesso. Oggi, invece, la Superlega europea diventa un disegno atto a favorire un modello di calcio che non solo  favorisca lo spettacolo, ma anche e soprattutto il business sportivo di chi ne fa parte.

E’ un tema che, come detto, viene riproposto ciclicamente, anche qui in Italia: l’ultima dichiarazione in tal senso risale a poco più di un mese fa ed è arrivata dal presidente della Juventus Andrea Agnelli. “Un campionato chiuso tra le 20 squadre migliori d'Europa sarebbe il massimo da un punto di vista economico”, ha affermato il patron bianconero, un’idea alla quale proprio ieri ha replicato il presidente della Lega Serie A Maurizio Beretta, che non ha chiuso del tutto le porte al progetto: “Bisognerebbe cambiare statuto e regole di convivenza, ma è una cosa su cui riflettere con libertà e spirito costruttivo”, le sue parole. Insomma, un progetto che sotto sotto piace, che potrebbe rappresentare la sublimazione del prodotto calcio per come si è evoluto in questi ultimi anni: uno spettacolo stellare, magari un po’ troppo a uso e consumo delle televisioni, ma che da solo catalizza la stragrande maggioranza degli interessi e degli investimenti economici sul globo terracqueo.

Erick Thohir, nuovo presidente dell’Inter, è rimasto sostanzialmente tiepido sull’argomento, soprattutto quando durante l’intervista a ‘Che tempo che fa?’ il conduttore Fabio Fazio ha provato a proporgli il tema. E ancora adesso che la globalizzazione si è fatta dilagante, pur con tutte le sue storture, la sola idea è vista da qualcuno come fumo negli occhi. Il legame coi vecchi campionati nazionali, coi tornei dei campanili, i derby, le sfide che accendono le passioni, è giustamente saldo ed è difficile pensare di sacrificarlo per barattarlo con sfide come Real-Bayern Monaco o Barcellona-Manchester United programmate come in un normale calendario a cadenza settimanale. Ragionamento comprensibile, per carità: però…

Però bisogna ormai guardare la luna, e non solo il dito. Capire che ormai, come ebbi modo di dire anche qualche tempo fa, la tendenza fra campionati europei e all’interno dei tornei stessi è quella della ‘forbice nella forbice’: c’è ormai una distanza evidente tra campionati e campionati, dove quello italiano ormai soccombe sempre più al cospetto di Premier League, Liga, Bundesliga, e vede avvicinarsi all’orizzonte, come detto anche dallo stesso Thohir, quello francese. Ma la divisione esterna si ripercuote anche all’interno, visto che in ogni torneo nazionale le squadre in grado di competere per il titolo sono al massimo 2-3; forse in Inghilterra il lotto si amplia ma nemmeno troppo, e anche nel tanto decantato ‘torneo dell’equilibrio’, ovvero la Bundesliga, si va delineando il duopolio Bayern Monaco-Borussia Dortmund. E le regole del Fair Play Finanziario, cavallo di battaglia di Michel Platini, potrebbero alla lunga rendere ancora più evidente e marcato questo vantaggio, visto che chi è già stato più abile a far lievitare il proprio fatturato tramite i ricavi da marketing, sponsor, stadi e quant’altro, indubbiamente finirà col godere già di una marcia in più.

Una situazione che a lungo andare potrebbe non piacere più a nessuno. E allora, che fare? I club più importanti potrebbero giustamente volere riconosciuti e tutelati i loro ingenti sforzi e investimenti, quelli cosiddetti ‘minori’ invece potrebbero addirittura rischiare di trovarsi in una situazione in cui lo ‘spread’ economico e competitivo con i parenti più ricchi rischia di diventare intollerabile. E più passa il tempo, più le due istanze rischiano di diventare inconciliabili. E a questo punto, la soluzione più drastica diverrebbe quella più naturale: lasciare che i club più grandi si costruiscano la loro Superlega europea, mettendo sul tavolo non solo tanto cash e stelle planetarie ma anche conoscenze e competenze personali sulle quali confrontarsi per costruire un grande progetto di sport business che potrebbe toccare vette inusitate; e tenere comunque in vita i campionati nazionali, di certo depauperati dei grandi club ma che comunque potrebbero trovare una nuova ragione d’essere, ad esempio come torneo-laboratorio per la crescita dei giovani.

Può sembrare una visione cinica, ma alla fine potrebbe essere la logica conseguenza delle derive del mondo del calcio. Si sente tanto recitare dai politici italiani la frase: “Ce lo chiede l’Europa”, chissà che alla fine al coro non arrivino ad aggiungersi anche i presidenti…

Sezione: La Rubrica / Data: Dom 24 novembre 2013 alle 00:30
Autore: Christian Liotta
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