Ne abbiamo sentito parlare anche involontariamente in queste ultime settimane, soprattutto negli ultimi giorni quando è arrivata la notizia dell’accordo di collaborazione siglato proprio con l’Inter. Tutti bene o male hanno capito che si tratta della squadra americana il cui proprietario è l’attuale presidente nerazzurro Erick Thohir; parecchi, magari anche in maniera piuttosto cinica, hanno preferito sottolinearne le disavventure dell’ultima, disgraziata stagione, chiusa col peggior record dell’intero campionato statunitense della Major League Soccer e col record negativo di vittorie, tanti altri non sanno che si tratta comunque di una delle squadre che partecipano alla Mls sin dalla prima edizione e soprattutto è quella che, insieme ai Los Angeles Galaxy, vanta in bacheca il maggior numero di vittorie nella competizione, ben quattro. Ma in buona sostanza, che storia hanno questi DC United, i nuovi cuginetti ‘acquisiti’ dell’Inter?

Il nuovo club affiliato alla società di Corso Vittorio Emanuele è nato ufficialmente nel 1995, quando la città di Washington fu una delle sette selezionate dalla neonata Mls per ospitare uno dei charter-club, le franchigie che avrebbero avuto l’onore di inaugurare la manifestazione. Il nome United fu scelto in riferimento alla denominazione di molte squadre europee, su tutte quelle inglesi. Naturale pensare al Manchester United, ma l’ispirazione venne anche dal Leeds United, club che negli anni ’90 era uno dei più considerati e temuti della Premier League, prima di vivere anni davvero neri.

Fu proprio il DC United a disputare la gara di inaugurazione del torneo, contro i San José Clash, il 6 aprile del 1996, e fu proprio la stessa franchigia a segnare i primi anni di vita della Mls, imponendosi come il club più vincente: tra il 1996 e il 1998, andarono nella capitale ben otto dei 13 trofei in palio, suddivisi tra MLS Cup (il titolo finale), titoli di Division e di Conference, e Supporters Shield’s (il trofeo che spetta alla squadra che colleziona il miglior record durante la stagione regolare), oltre all’edizione 1996 della U.S. Open Cup, torneo nazionale aperto alle squadre di tutte le divisioni calcistiche locali, una sorta di FA Cup d’oltreoceano. E se non arrivava a vincere, finiva comunque seconda, come avvenuto nel 1998 quando, dopo aver vinto le prime due edizioni, dovettero soccombere ai Chicago Fire.

Non solo: i DC United si facevano valere anche in campo internazionale. Nel 1998, per dire, arrivarono a imporsi nella Concacaf Champions Cup, la Coppa dei Campioni del Nord America, e sorpresero i più quotati brasiliani del Vasco da Gama in quella che fu l’ultima edizione della Copa Interamericana, il torneo che metteva di fronte i vincitori della Champions Cup e della Copa Libertadores, ribaltando lo 0-1 dell’andata con il 2-0 del ritorno. Erano gli anni di Bruce Arena allenatore, e di giocatori come Eddie Pope, Jeff Agoos, e soprattutto dei due boliviani Marco Echeverry e Jaime Moreno, due autentiche istituzioni per la giovane franchigia. Quando Bruce Arena lasciò la capitale per accettare l’incarico di c.t. della Nazionale statunitense, per il club cominciò una fase di calo: dopo il titolo del 1999, due anni di insuccessi portarono il tecnico olandese Thomas Rongen a lasciare, in favore dell’inglese Ray Hudson prima e del polacco Piotr Nowak poi. Proprio Nowak portò lo United all’ultima vittoria nella Mls, nel 2004, sconfiggendo in finale i Kansas City Wizards. Quello stesso anno, i DCU balzarono agli onori delle cronache per l’ingaggio del 14enne Freddy Adu, ritenuto un potenziale fenomeno: il ghanese è stato il più giovane esordiente della storia dello sport professionistico statunitense, ma alla lunga il giovanotto ha disatteso tante speranze.

Da lì in avanti, nonostante alcune soddisfazioni come la partecipazione alla Copa Sudamericana del 2005, si sono susseguiti alcuni anni di vacche magre; nonostante due Supporters Shields consecutive vinte, i DC United non sono più riusciti ad arrivare alla vittoria finale. Solo le deboli consolazioni di alcuni successi un po’ platonici come i successi nell’Atlantic Cup, il ‘trofeo nel trofeo’ che premia la vincente del triplo confronto con i New York Red Bulls (qualcosa assimilabile al Trofeo Garibaldi o alla Calcutta Cup, che vengono assegnati durante il Sei Nazioni di rugby), o le due U.S. Open Cup vinte nel 2008 e nel 2013, che fa da contraltare all’ultima, nerissima annata chiusa con la misera quota di tre vittorie all’attivo, e che ha portato il club a qualificarsi per la prossima Conmebol Champions Cup. L’arrivo di Erick Thohir alla proprietà della franchigia è del 2012, quando, insieme al socio Jason Levien, decise di affiancare Will Chang, fin lì unico proprietario dopo aver rilevato le quote in mano agli ex cestisti Brian Davis e Christian Laettner. Sin da subito, il nuovo owner ha lanciato il suo piano per fare dello United un brand globale e di ottenere uno stadio nuovo tutto per il club, obiettivo centrato nei mesi scorsi con il sì per la costruzione del nuovo impianto a Buzzard Point.

Questa, in sintesi, la storia del DC United, il nuovo partner dell’Inter al di là dell’Oceano Atlantico. Un partner che però presenta, chiamiamola così, un’anomalia: i colori ufficiali del club sono infatti il rosso e il nero, ovvero quelli degli eterni avversari del Milan. E suona alquanto strano trovarsi dei nuovi ‘parenti’ con questa combinazione cromatica vista dai tifosi come fumo negli occhi. Certo, la presenza di un noto marchio di auto tedesche come sponsor regala un tocco di azzurro alla casacca, però chissà, magari Thohir si accorgerà del contrasto troppo evidente e interverrà in qualche modo (lo dico a mo’ di battuta, eh?).

 

Sezione: La Rubrica / Data: Dom 15 dicembre 2013 alle 00:30
Autore: Christian Liotta
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