Alla Gazzetta Didier Deschamps ha concesso una lunghissima intervista. Il tecnico dell'OM parla approfonditamente di Inter: non si fida affatto del momento di crisi dei nerazzirr.
Ogni volta che la panchina dell’Inter traballa salta fuori il nome di Blanc. Didier, lei che gli è amico, gliela consiglierebbe?
«Lolò è intelligente, sa scegliere da solo. Il mestiere di allenatore è sempre a rischio. E’ giusto: la nostra vita è il breve termine. Ma guardate Capello al Real o Kombouaré al Psg: ormai non bastano neanche i risultati. Non fa bene a nessuno lavorare così, senza logica sportiva. Ancelotti potevano prenderlo a inizio stagione».
Che cosa porta a Parigi?
«La scienza internazionale di chi ha vinto tanto, da giocatore e da tecnico. E poi professionalità: parla già francese».
Parigi capitale anche nel calcio è un bene per la Ligue1 o è al limite della concorrenza sleale proprio nella patria dell’assertore del fair-play finanziario?
«No, è un bene che gli stranieri investano anche qui. Quanto al fair-play, il Psg non ha debiti, può spendere e comprare chi vuole. Beati loro. Io devo trovare altre soluzioni».
Come tecnico, quale è stata la lezione di Lippi?
«La gestione di una squadra attraverso il dialogo coi giocatori, senza essere amico o paternalismo. Questo genera fiducia: la dai e la ottieni».
Quanto ad allenatori, con 4 l’Italia è il Paese più rappresentato in Champions: il nostro calcio a livello tattico resta il migliore?
«E’ vero, sono tanti e ottengono ottimi risultati. E altri stanno arrivando. La Serie A è molto formativa».
Chi vince la Champions?
«Barcellona e Real hanno qualcosa in più. Non molto distanti Milan, Inter e Bayern: possono arrivare in fondo».
E l’Europeo?
«Ancora la Spagna? E’ favorita. Ma i giovani talenti possono lanciare Germania e Italia».
In Francia c’è un netto calo di tesserati, sponsor e spettatori: state ancora pagando il Sudafrica?
«Quel momento resterà a vita. Fu un danno di immagine in mondovisione, ma in parte è recuperato grazie a Blanc. I cali non dipendono dal Mondiale, ma dalla crisi: andare allo stadio o far praticare lo sport a un figlio è diventato un lusso».
Si diceva dell’Inter: lei, dopo quel che successe con la Juve, avrebbe delle preclusioni ad allenarla?
«Capello diceva che non ci sarebbe mai andato, e poi abbiamo visto come è finita. L’allenatore è un professionista, lavora dappertutto».
Quindi quella di domani per lei, due volte ex juventino, è un’avversaria come le altre?
«Sì. Quella storia ha fatto male al calcio italiano, ma è il passato. La rivalità ci sarà sempre, non serve mettere benzina sul fuoco».
Oggi che Juve è?
«Ha investito molto. Ma vedo fame di vittoria e in questo Antonio ci ha messo tanto di suo. E’ stato anche bravo ad adattarsi a un gioco diverso da quello che aveva in mente. Può vincere il titolo».
Dunque aveva ragione Blanc, Jean-Claude, a sostenere nel 2006 che ci sarebbero voluti 5 anni per tornare a vincere?
«Ai tifosi non si può mai dire "vinceremo fra 4-5 anni". Ma la B obiettivamente era un disastro e non ci si poteva riuscire subito».
Il suo addio a Torino con Blanc fu burrascoso: come è stato ritrovarvi da avversari in patria?
«Ci eravamo già riparlati. Non siamo amici, ma siamo rimasti in contatto e ora abbiamo un buon rapporto. Mi piace quello che sta facendo a Parigi».
E lei, al 10° anno da allenatore, è contento di quel che ha fatto finora?
«Io sono migliorato, come il vino. Ho più esperienza e sono meno impulsivo. Ho imparato ad adattarmi, a fare un passo indietro. Altrimenti non sarei qui da 3 anni, che per questa società è un record. Sono orgoglioso di quello che sto facendo a Marsiglia».
Cinque titoli in 2 stagioni in un club che non raccoglieva niente da 17 anni.
«Forse non vincerò tutto quello che ho vinto da giocatore, ma ho iniziato giovane e all’inizio avrei potuto fare meglio».
Aveva mai avuto una donna come datrice di lavoro?
«No. Abbiamo un ottimo rapporto, anche se quello principale è col presidente Labrune. Margarita Louis-Dreyfus, rimasta vedova, ha dovuto lottare per difendere i propri interessi, si occupa del patrimonio e ha delegato l’OM a persone di fiducia. E’ una donna con i pantaloni».
Che però ha chiuso i cordoni, costringendola a valorizzare quel che aveva: gli Ayew figli di Abedì Pelé, Remy, Diarra e Nkoulou di cui si dice un gran bene.
«In effetti dopo 2 anni di investimenti, quest’anno si è piuttosto venduto. Si è comprato in base alle possibilità, ma sempre per la qualità dei giocatori: non hanno esperienza di Champions, si tratta di farli migliorare a livello mentale».
Com’è allenare i figli di un ex compagno di squadra?
«Nessun problema. Quel che è difficile è allenare gli ex compagni (ride, ndr)».
La miglior virtù del suo Marsiglia?
«Quella di crederci fino alla fine. Anche contro l’Inter».
Che squadra trovate?
«Non è quella delle ultime partite che hanno pregiudicato la corsa allo Scudetto. Sarà concentrata sulla Champions e tutto sommato 9 giocatori su 11 erano titolari nella finale vinta meno di due anni fa: il suo obiettivo è vincerla di nuovo».
E il vostro?
«Il nostro era qualificarci per gli ottavi, ora i quarti. Ma la favorita resta l’Inter e non lo dico per metterle pressione: dopo il sorteggio loro erano contenti, no? E’ giusto, l’accetto».
Tra Samuel e Forlan, chi avrebbe preferito restasse indisponibile?
«Ci metterei anche Sneijder, fondamentale sui calci piazzati e per le palle con cui alimenta attaccanti come Pazzini, Milito e Forlan. E’ la qualità individuale il problema con questa squadra».
Qualificazione all’andata o al ritorno?
«Al ritorno, come sempre. L’andata serve a preparare la partita decisiva e noi a Marsiglia abbiamo l’obiettivo di non prendere gol per non dar loro il vantaggio della rete fuori casa oltre a quello del ritorno a San Siro».
Quindi stavolta in trasferta la rapina contate di farla voi?
«Quel problema per fortuna è risolto. Ma diversamente da quella banda noi agiremo a volto scoperto!».
Autore: Alessandro Cavasinni
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