"Il bilancio è buono. Ora bisogna continuare così. Dobbiamo migliorare, ovvio, come tutti. Ma in questa fase di costruzione conta soprattutto fare bene, cioè punti". Lo dice Roberto Mancini, in una lunga intervista al Corriere della Sera.
Ma che cosa significa giocare bene al calcio?
"Bella domanda. In generale, tutti sono felici se vincono, pochi amano perdere giocando bene. Alla maggior parte dei tifosi l’1-0 piace. E poi ci sono gli avversari. Penso al secondo tempo con la Samp: loro tutti dietro la linea della palla, noi con il 60% di possesso, baricentro alto, 9 tiri in porta. Un 1-0 può indurre la percezione che siamo poco offensivi, ma non è così. Poi è chiaro che segnare di più è necessario, magari con un altro modulo che sfrutti meglio gli esterni".
Non ha detto che il modulo non conta?
"Ho risposto a certe domande illogiche, tipiche italiane, per fortuna non di tutti. Quello che dico è che non si vince o perde per un modulo. Con la Fiorentina, per esempio, non è stata questione di modulo. Eravamo sotto 0-2 senza che loro avessero tirato in porta... Succede. Ma per me quella resta una delle nostre migliori partite finora".
In Italia manca la cultura della sconfitta?
"Non c’è mai stata. Per noi una partita è questione di vita. E le cose stanno peggiorando. Invece nella vita ci sono cose più importanti del calcio".
Allora perché è tornato?
"Ah non lo so, me lo sto ancora chiedendo! Colpa dell’Inter e del suo fascino. Ancelotti, che è più intelligente di me, in Italia non torna più...".
Magari vincere in Italia dà più soddisfazione?
"La mia più grande gioia è stata vincere la Premier League da straniero, in un modo che meriterebbe un film come “Febbre a 90°” sull’Arsenal".
Il senso di Inter-Juve?
"Semplice: in Italia è la partita più importante di tutte, da sempre".
Inter-Juve si gioca anche fuori dal campo. L’onda di Calciopoli finirà mai?
"Finché ci sono battute ok, fa parte del folclore. Ma io vorrei tanto che quella storia venisse chiusa per sempre".
Confessi: che cosa racconta al telefono per convincere i giocatori a venire all’Inter?
"Tutti i tecnici chiamano i giocatori, parlano del progetto li fanno sentire importanti. Se io ottengo qualcosa di più è grazie alle vittorie e alle esperienze fatte all’estero. Su Kondogbia, Perisic, Jovetic c’erano tanti club e ha pesato anche l’appeal dell’Inter. Quello conta più di me".
Tra le telefonate ce n’è stata una a Balotelli?
"Mi ha mandato lui un sms, ci siamo sentiti, ha scherzato dicendo che era pronto... Chissà come sarebbe stato riaverlo qui. Ma sono felice che sia tornato. Gli voglio bene".
Che cosa va e che cosa no dell’Inter finora?
"Funziona la fase difensiva. È da migliorare quella offensiva: ci servono più gol".
Le difficoltà di Kondogbia?
"Si deve ambientare. Il calcio italiano non è mai stato facile. Hanno faticato anche grandissimi come Platini o Zidane. E Van Basten lo volevano cedere alla mia Samp per Vialli. Io sono certo che Kondogbia diventerà un grande, anche se è più un Vieira che uno Yaya Touré. Di Yaya ce n’è uno solo".
Ljajic è un problema?
"Ha qualità tecniche straordinarie ma, come capita spesso a certi talenti slavi, fatica a metterci qualcosa in più. Dipenderà più da lui che da me".
Un caso controverso è Guarin, suo punto fermo, amato o fischiato senza vie di mezzo.
"A volte, è vero, commette errori incredibili, ma è un ottimo giocatore. E giudichiamolo con equilibrio: non può essere prima eroe e poi brocco".
Quanto le pesa non avere ancora vinto in Europa?
"È strano. Penso a Ibrahimovic, un fenomeno senza Champions. Spero che per me arrivi un giorno".
Che cosa le pesa di più?
"Mettere in panchina qualcuno. Io ho giocato, sento sulla pelle il dispiacere che provano loro. E purtroppo so che per me non cambierà mai".
La stagione dell’Inter sarà positiva se...
"Se arriviamo nelle prime tre. Ma io spero sia positivissima facendo meglio".
È vero che se l’Inter non arriva in Champions c’è il rischio di un pesante ridimensionamento?
"Tocco legno, all’inglese... L’urgenza la sentiamo, sappiamo che per le nostre casse è fondamentale. Ma non è un problema solo dell’Inter".
Che differenza c’è fra la sua prima Inter e questa?
"Quella era già ricca di giocatori bravi che dovevano solo esprimere un grande potenziale. Questa è costruita da zero".
Vincere ora è la missione più difficile della carriera?
"Sì. Ma sono deciso a provarci".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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