Come quando, a fine lezione, la maestra delle elementari la smetteva di romperci i timpani raschiando col gesso sulla lavagna, anche questa stagione è finita. Secondo un riuscitissimo copione, questa squadra indisponente non poteva che lasciarci con la beffa. Tra i migliori, manco a dirlo, gli splendidi duettanti croati, autori di una prova guizzante che ha suscitato una reazione a dir poco imbarazzata da parte di San Siro; sullo sfondo, l'addio di un grande giocatore come Rodrigo Palacio, stella timida e poco fortunata di un'Inter abituatasi fin troppo alla medio-alta classifica. Qualche conferma, in positivo e in negativo e, da parte dei soliti noti, un paio di apprezzabili tentativi di dettare tempi e ritmi che non ricordassero le partite al tramonto, quando la spiaggia è ormai orfana della calura più aspra e si può far finta di correre dietro un pallone senza boccheggiare al primo, inatteso cambio di passo. Gara di fine stagione, insomma, come ne abbiamo viste tante e troppe in questi ultimi anni, con il nulla da festeggiare, l'isteria di chi ha provato ad amare ed è stato tradito, i sogni in tasca per l'anno venturo che mitigano appena la delusione.
GLI EROI - Fin da subito, dagli spalti, si distingue un individuo quasi tozzo, dal piglio leonino e il portamento leggermente incurvato, testa bassa e guai a chi mi ferma. La prova di Eder è srotolabile su diverse pagine, e sulla copertina sarebbe giusto scrivere qualcosa come 'Manuale del generoso: quello vero, che si sacrifica anche quando non serve'. Fosse anche soltanto per dare l'esempio, ribadire a Ventura la sua caratura azzurra e ricordare alla dirigenza interista che non tutto è da buttare, l'italo-brasiliano si spende in una prova di scatti e controscatti, movimenti incontro e tagli avveduti, alternando un su e giù tutto verticale a uno svolazzare qua e là nei mille buchi della difesa ospite, un po' come le zanzare che sono appena tornate a Milano. Quando l'Udinese ha alzato il suo baricentro per rispettare l'onere di firma in quel di San Siro, Eder ha intelligentemente abbassato di 20 metri il suo raggio d'azione, schiacciandosi sul suo centrocampo in fase di non possesso, e ripartendo con veemenza non appena il pallone tornava a disposizione dei nerazzurri: miele per il palato di un pubblico giustamente critico verso una squadra parsa troppo spesso aliena dal concetto di sacrificio. Uomini così, in una rosa che si rispetti, non dovrebbero mai costituire l'eccezione. Subito dopo lo struggente evento romano, con il saluto in pompa magna al Capitano di una vita, al pubblico interista toccava dire addio in tono minore a quel Palacio che meritava di appartenere a ben altra epoca nerazzurra e che ha a lungo retto la baracca, finché gambe e polmoni gli sorridevano compiacenti. Ogni tempo ha i suoi eroi, quasi in proporzione allo splendore dell'epoca: gli ultimi anni nerazzurri, difettosi di quei singoli che abbinassero piedi dorati a tempra d'acciaio, trova la sua più nobile continuità nel passaggio di consegne tra Palacio ed Eder, due rimasti sempre a schiena dritta mentre restavano, per diverse ragioni, alle pendici dell'Olimpo del calcio.
GLI INDIFFERENTI - Il pubblico di San Siro, non appena è riuscito per qualche istante a dimenticare le angherie subite in questa stagione, ha compreso questi uomini e ha saputo tributare loro il giusto riconoscimento. Diverso, chiaramente, il trattamento riservato agli altri due protagonisti di giornata, che si sono in qualche modo rivelati in tutto il loro estro irriverente e provocatorio. Nessuno può dubitare della cifra tecnica di Perisic e Brozovic, due giocatori dotati di passo europeo, genio slavo, piedi indiscutibili e potenzialmente eccellenti; ai due croati, semmai, è stato spesso rinfacciato un atteggiamento di palese spensieratezza, per non dire di disinteresse: come fossero usciti da Gli Indifferenti di Moravia, i due croati son parsi distaccati, intenti a rincorrere propositi personali senza mai ben sintonizzarsi sul sentire comune. Se i numeri stagionali (11 gol e 12 assist) e la continuità premiano senz'altro l'esterno prossimo al trasferimento in Inghilterra, che ha alternato in stagione colpi da campione assoluto del suo ruolo ad allarmanti prestazioni in ciabatte, ben poche attenuanti si possono garantire a Brozovic, protagonista di un'annata avviatasi tra i palesi dissapori con De Boer e proseguita con l'effimera primavera del primo periodo di Pioli, finché il buon Marcelo non ha deciso di sfilarsi dalla lotta ancor prima che l'abbiano fatto i suoi compagni di squadra. Troppi ingressi a vuoto, troppo trotterellare, troppi post spensierati nei momenti meno opportuni. Ecco, dunque, perché nessuno ha realmente sentito il bisogno di tributare ai due, che pure appaiono anch'essi destinati a lasciare l'Inter, un particolare trattamento di favore; Brozovic, addirittura, ha rimediato numerosi fischi anche mentre esultava per il gol segnato. Come reagire? Guai a ricorrere all'epurazione indiscriminata: spesso annate del genere tirano fuori solo il peggio di un uomo, e in un ambiente virtuoso anche un lavativo può redimersi, scoprendosi d'un tratto utile alla causa. Esistono, però, coloro che a questa causa sono irrecuperabili, e operare questa distinzione sarà il compito di chi ha avuto davanti ogni giorno il materiale umano nerazzurro. Per una volta, che sia l'Inter a scegliere, e non le logiche di mercato: ché il mercato non è scemo, e perciò ti vuol portare via sempre i migliori. Ecco perché l'erba cattiva, da queste parti, sembra non morire mai.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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