Le notizie circolanti nelle ultimi mesi vogliono un avvicendamento prossimo a livello societario in casa Inter con Erick Thohir pronto a cedere il suo residuo pacchetto azionario (il 31,05%) al gruppo Suning per una cifra attorno ai 200 milioni di euro che gli garantirebbe una plusvalenza di 157 milioni di euro circa, visto che dopo l’uscita di Massimo Moratti le sue quote valgono 42,5 milioni di euro. 

Dal punto di vista meramente economico-finanziario quella dell’imprenditore indonesiano è una mossa eccezionale e in queste righe proveremo a spiegare come sia stato possibile che Thohir, entrato nell’Inter nel periodo più complicato dei conti nerazzurri con anche gravi ripercussioni sul versante tecnico della società calcistica.

L’ARRIVO A MILANO - A più riprese Massimo Moratti aveva provato a inserire all’interno dell’organigramma nerazzurro nuove figure che potessero apportare capitali freschi, ma solo nell’estate del 2013 tutto ciò si concretizzò quando una cordata di imprenditori indonesiani capeggiata da Erick Thohir e comprendenti anche Rosan Roeslani e Handy Soetedjo manifestò pubblicamente l’interesse nell’acquisire quote dell’Inter: il 70% per la precisione con il principale dei tre, il figlio del magnate dei media indonesiani Thohir impegnato ad acquisire il 35% in solitaria, con gli altri due imprenditori destinati ad ottenere il 17% delle azioni ciascuno. Si arriva così al 15 novembre del 2013 quando all’hotel Melià di Milano si tiene la conferenza stampa con la quale si segna l’ufficialità della cessione della quasi totalità dell’Inter al gruppo del sud-est asiatico. Valore della cessione di 250 milioni di euro, con buona parte di essi impegnati a coprire i debiti acquisiti dalle ultime gestioni di Moratti, considerato che il valore commerciale della totalità del pacchetto azionario nerazzurro al momento valeva circa 108 milioni di euro e dunque non tutti i 250 milioni sarebbero serviti per comprare le quote pattuite. 

LA MESSA IN ORDINE - L’ultimo bilancio d’esercizio nerazzurro prima della cessione era sensibilmente negativo, con perdite stimate attorno agli 80 milioni di euro, quasi 3 milioni in più dell’esercizio precedente: per Thohir la sfida di rimettere in ordine i conti dell’Inter appariva sin da subito ardua, cosa complicata successivamente dalla mannaia del Settlement Agreement stipulato con la UEFA nell’ambito dell’inadempimento del Financial Fair Play. Tutto questo non scoraggia l’indonesiano che nel triennio in cui è unico socio straniero dell’Inter riduce del quasi 30% le perdite su base annuale passando dagli 85 milioni del primo bilancio ai 59,6 milioni del bilancio chiuso il 30 giugno del 2016. Non solo una sensibile riduzione delle perdite d’esercizio, ma anche un aumento del fatturato netto (senza dunque le plusvalenze, ndr) di quasi 50 milioni sempre su base triennale, passando da 154 milioni di fatturato ai quasi 200 del suo ultimo esercizio in solitaria; il tutto per non parlare delle revenue riguardanti ricavi commerciali, incassi da stadio e proventi dei diritti televisivi che dal minimo di 164 milioni raggiunto nel 2013/14 ritornano su livelli accettabili al termine del 2016 con 179,2 milioni.

LA CESSIONE SILENTE - Questi risultati, uniti alla fiducia di alcuni creditori verso il club nerazzurro che comunque gode di un maxi-prestito da parte di Goldman Sachs per 230 milioni di euro stipulato proprio dallo stesso Thohir, porta all’ingresso in società del gruppo Suning in data 28 giugno 2016, questa volta con una trattativa che definire segreta è poco. Thohir nei suoi mesi lontano dall’Italia, mentre la stampa italiana lo tacciava di poco interesse verso il club posseduto, aveva parlato alacremente con uno dei gruppi più importanti della Cina, il cui proprietario Zhang Jindong è il 306° uomo più ricco al mondo con un patrimonio (dati Forbes) di 7,8 miliardi di dollari e il 35° uomo più ricco di Cina con anche un forte rapporto con il presidente Xi Jinping. Il 28 giugno 2016 arriva l’ufficialità dell’ingresso di Great Horizon Sarl (il gruppo facente capo alla famiglia Zhang) nell’Inter impadronendosi della maggioranza del pacchetto azionario. Thohir, però, riesce a fare un altro capolavoro economico-finanziario: vende alcune delle sue quote al gruppo cinese per 31 milioni, e rivende le quote acquistate da Moratti per 60,8 milioni generando una plusvalenza personale di più di 30 milioni rimanendo comunque presidente e con ancora gli interessi del prestito precedentemente stanziato da riscuotere. 

Si può discutere sulla competenza calcistica del magnate indonesiano, ma quella manageriale no: nel triennio forse più buio dal punto di vista dei risultati sportivi lui con il suo staff è riuscito a sistemare il bilancio di una squadra che a più riprese si diceva dovesse finire con i libri in tribunale, ha rilanciato parzialmente il brand nei territori asiatici ed è riuscito ad aumentare il valore del club agli occhi degli acquirenti tanto da far sborsare loro 270 milioni per il 68,55% delle quote al netto dei debiti, 20 milioni di euro in più di quanto Thohir pagò per il 70% (più debiti) tre anni prima.

Non rimarrà nel palmares dell’Inter questa parentesi triennale, non servirà a ingrandirne la bacheca, ma sicuramente ha consentito al club nerazzurro di poter tornare a pensare in grande dopo anni in cui l’unico obiettivo era quello di evitare il peggio economicamente parlando.

L’ASPETTO SPORTIVO: IL MONTE INGAGGI - Nell’anno del Triplete, il monte ingaggi dell’Inter partiva da una base di 146 milioni lordi. Insieme ai premi per i trofei guadagnati (50 mln), si sfiora quota 200 milioni che viene sfondata se si aggiungono i compensi per José Mourinho e il suo staff. Il totale, solo di quell’annata, è vertiginoso: 222 milioni di euro in stipendi. È stato il punto più alto della gestione Moratti in tutti i sensi: dalla stagione successiva, i risultati sul campo sono venuti meno ed è iniziato un processo di rebuilding che ha trovato il suo momento di svolta con il sopracitato arrivo di Thohir. Nella stagione 2013/14, la squadra ereditata dal Tycoon indonesiano aveva in rosa gli ultimi giocatori del gruppo che aveva vinto la Champions League: Milito, Chivu, Samuel, Cambiasso e Zanetti. Il totale degli ingaggi da pagare quell’anno era 95 milioni lordi. Dal punto di vista sportivo, possiamo dire che la fine di quella stagione è stato il momento in cui si è tracciata una definitiva riga con il passato e si è cominciato a costruire una squadra con altri presupposti. Nella stagione 14/15, il monte ingaggi è sceso a 70 milioni: per fare un’idea della situazione, la Juventus primeggiava con una spesa di 118 milioni, poi la Roma a 98 e il Milan a 94. L’Inter era appaiata al Napoli, fanalino di coda di questa speciale classifica, a testimoniare quanto fosse finito un lungo ciclo. Il colpo di reni di quell’annata fu l’addio a Walter Mazzarri e il ritorno di Roberto Mancini: nella testa di tutti, quel forzato passaggio di testimone doveva significare una risalita più veloce da parte della Beneamata, ma fu così solo in parte. Ad una grande campagna acquisti (fu l’estate di Kondogbia e degli undici nuovi arrivati grazie alle magie di Ausilio) non corrispose una stagione all’altezza: il 15/16 portò un quarto posto, infarcito da un’illusoria prima parte di stagione in cui l’Inter ha lottato per i primi posti della classifica. Il monte ingaggi era lievitato a 85,6 milioni, scalzando Napoli e Milan (rispettivamente salito a 75,2 e sceso a 73) ma sempre dietro a Juventus e Roma. Il più pagato di quella rosa era per l’appunto Kondogbia, a 3,6 milioni l’anno (netti). L’estate di quell’anno successe quel che sappiamo, con Mancini che ruppe con la nuova proprietà di Suning e lasciò la squadra in braghe di tela poco prima dell’inizio del campionato, con l’avvicendarsi di De Boer, Pioli e Vecchi: l’Inter aveva ulteriormente aumentato il proprio monte ingaggi oltre i 90 milioni, ma la stagione finì in tragedia, con un triste settimo posto che fu il peggior rapporto qualità/prezzo dell’intera Serie A. L’arrivo di Luciano Spalletti e un riassestamento del management sono stati i due fattori che hanno contribuito a portare equilibrio nella stagione passata: a causa del blocco negli investimenti stranieri arrivato dal governo cinese e degli obblighi relativi al Settlement Agreement, Ausilio ha lavorato per ridurre di nuovo gli stipendi della rosa, assestando la nuova cifra sui 79 milioni di euro. Conquistata la Champions League, e grazie ad un ottimo lavoro sul mercato dei giocatori a scadenza, l’Inter si è potuta permettere di far lievitare nuovamente, nel corso di questa stagione, la voce stipendi: con gli arrivi di Nainggolan, De Vrij e gli altri, quest’anno l’Inter è la rosa con il terzo monte ingaggi più alto della Serie A, dopo la Juventus (sensibilmente vicina alla quota Triplete dell’Inter, a 219) e il Milan a 140 milioni che paga ancora le spese del duo Fassone-Mirabelli.

IL CALCIOMERCATO ANONIMO - In questi difficili anni di riassestamento economico, va da sé che l’Inter non ha vissuto grandi momenti di calciomercato. Ci si può consolare parlando dell’entusiasmo generato da quest’ultima sessione (e nessuno si azzardi a nominare Luka Modric), perché per ritrovare uno slancio tale bisogna arrivare alla prima estate del Mancini bis, dove vennero spesi 98 milioni per giocatori il cui peso specifico all’Inter è stato nullo: di quella campagna acquisti, gli unici due ancora in rosa sono Ivan Perisic e Joao Miranda. Il calciomercato dell’anno precedente, nella stagione 14/15, fu il più magro della storia recente interista: l’unico acquisto di un certo peso fu Gary Medel, a cui venne accompagnata la seconda rata dell’acquisto di Brozovic. Per il resto, solo operazioni in prestito (M’Vila, Dodò) presto finite nel dimenticatoio. Quindi, qual è stata la classifica dei colpi più costosi della presidenza Thohir? Al primo posto c’è Joao Mario a 40 milioni, seguito Radja Nainggolan (entrambi già in epoca Suning) e da Kondogbia. Menzione d’onore per quello che sarebbe dovuto essere il primo inserimento di peso in squadra, ovvero Hernanes (che fu preferito proprio al Ninja, ai tempi ancora al Cagliari). Chiusura legata ai fedelissimi di quest’esperienza: della moltitudine di giocatori ruotati attorno Appiano Gentile negli ultimi anni, in pochi si sono riusciti a fermare per più di due stagioni. Il più longevo è stato D’Ambrosio, primo acquisto dell’era Thohir. Poi Marcelo Brozovic, arrivato nel gennaio 2014. Miranda e Perisic sono al loro quarto anno di Serie A, mentre Medel (3 stagioni) e Felipe Melo (2 e mezzo) chiudono questa particolare classifica. Insomma, tempi duri. Che ora, anche grazie al lavoro troppo spesso dimenticato del business man Erick Thohir, hanno trovato un nuovo inizio. 

 L'Orologio è un podcast sportivo di approfondimenti tattici, statistici e finanziari sull'Inter, la Serie A e la UCL. A cura di Marco Lo Prato e Gianluca Scudieri

Sezione: L'Orologio / Data: Mer 17 ottobre 2018 alle 14:35
Autore: L'Orologio / Twitter: @TheOrologio
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