L’immagine dell’Inter sconfitta dal Sassuolo è la faccia di Adem Ljajic al triplice fischio, quando il secondo ko interno consecutivo diventa realtà. Una manciata di secondi prima Berardi ha realizzato il rigore decisivo e il serbo si ritrova, come tutta la squadra, attonito e incredulo per aver perso in modo sciagurato una partita in cui la squadra aveva fornito forse la miglior prestazione offensiva della stagione. E proprio Ljajic è il simbolo della domenica storta nerazzurra: è quello che ha prodotto di più (otto tiri verso Consigli, di cui tre in porta), ma allo stesso modo ha sbagliato tre limpide occasioni da gol. Su una sua conclusione, poi, il miracolo di Consigli ha fatto il resto, facendo presagire all’Inter il peggio. Così i nerazzurri si ritrovano secondi, a pari punti con la Juventus, dietro al Napoli, per la prima volta dopo ventisei anni Campione d’Inverno. Anche in quel caso dietro ai partenopei c’era la Beneamata e in quel caso gli Azzurri vinsero lo Scudetto. Detto che l’obiettivo della squadra di Mancini è principalmente la Champions League, perdere punti in questo modo fa male al morale di una squadra che sta costruendo una mentalità vincente. Partite come quelle di ieri e contro la Lazio forgiano il carattere di chi vuole conquistare l’Italia, tramutandosi, con il tempo, in esperienza. Qualche mugugno di San Siro, in tutto questo, non aiuta. 

LA CERTEZZA - Chi si sta confermando a livelli celestiali è Handanovic. Lo sloveno anche contro il Sassuolo ha giocato una partita assoluta, fatta di parate provvidenziali e interventi con i tempi giusti. Anche nelle uscite sembra che la sicurezza sia stata acquisita quasi in modo completo e gli interventi sui vari Missiroli e Sansone sono la prova che la forma di Samir è in parabola ascensionale. Sul rigore non può nulla, beffato dalla conclusione centrale di Berardi. Ma avesse parato anche quella, probabilmente lo speaker di San Siro avrebbe dovuto cambiare il modo di annunciare la formazione: non più l’Inter, ma Handanovic e altri undici. One man show, anche nella giornata più difficile. 

INCOMPRENSIONI - Di contro, il resto della squadra ha annaspato per tutta la partita. La distanza fra centrocampo e difesa si è rivelata cruciale per le sorti del match, con la squadra sfilacciata e incapace di smistare velocemente il pallone dal mezzo del gioco. I varchi che si creano con il gioco di prima sono materiale raro per questa squadra, che ora come ora vive di accelerazioni e lanci lunghi (come quello di Medel che ha mandato in porta Icardi dopo qualche minuto, ma Acerbi è stato favoloso a contrastare l’argentino, impedendogli la conclusione pulita). Servirebbe un regista in grado di giocare ad uno-due tocchi, ma questo tema salta fuori ciclicamente quando si affrontano temi nerazzurri. Quel che non ci si aspetta è la giornata no di Joao Miranda che commette degli errori elementari fin dall’incipit della gara, fino allo scivolone di grazia fantozziana con cui atterra Defrel, venendo anche risparmiato dall’espulsione per chiara occasione da gol. Se Miranda è reduce da una partita negativa (e Murillo da un grave errore di lettura di gioco, sul pallone alto che non riesce a spizzare di testa e che finirà fra i piedi di Defrel) chi si è dimostrato claudicante è Nagatomo, che rientra nel ruolo sbagliato negli ultimi possessi della partita, finendo per farsi rimbrottare anche da Mancini in diretta tv. 

 

LO SPAESATO - In tutto questo, Geoffrey Kondogbia e il suo fardello di responsabilità: un giocatore che non riesce ad essere valutato senza che venga ricordato quanto è stato pagato. Quando si vede giocare il francese, sembra spaesato. Come quei protagonisti che nei film hanno tutto per sfondare ma non riescono ancora a incanalare le forze nella maniera giusta e hanno bisogno di una guida, un maestro che li introduca all’arte definitiva, del credere in se stessi. Non che l’ex Monaco non ci provi, a segnare: i suoi piazzati di sinistro sono potenti, ma mai davvero pericolosi. Per adesso quel che vediamo del Kondo è il suo caracollare per il campo, con una forza straripante ma spaesata. Fischiarlo alla sostituzione pare ingeneroso, ma non del tutto opinabile. Adesso è il momento della verità: questo periodo, l’anno scorso, è stato il suo miglior spezzone di stagione. Avere continuità di minuti è forse quello che ancora manca al francesone per poter dire la sua. Partite così devono servire da stimolo. Perché se dell’anticipo delle dodici e trenta rimanessero solo ansie e insicurezze, la corsa dell’Inter potrebbe subire altre brusche interruzioni.  Se invece la sensazione di smarrimento dovuta al fatto di aver perso una partita in cui si è creato tantissimo verrà convertita nella forza d’animo necessaria a battagliare per tutto il girone di ritorno, allora questa squadra è pronta a far meglio. Le qualità le ha tutte. 

Sezione: In Primo Piano / Data: Lun 11 gennaio 2016 alle 08:00
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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