A Interello tutti erano pronti a scommettere su di lui. D’altronde se ti paragonano ad un certo Steven Gerrard qualcosa vorrà dire. Le cessioni in prestito al Prato e alla Reggina dovevano solo servire a fargli fare esperienza, ma la carriera di Morten Knudsen è proseguita poi in Norvegia. Oggi il centrocampista danese, dopo essere tornato in Patria, si confida in esclusiva a FcInterNews.it.
Come procede la sua vita oggi? Quale è il suo obiettivo con il Vendsyssel?
“Dopo essere tornato a casa nel gennaio del 2018 ho ottenuto con la mia attuale squadra, la scorsa estate, la promozione nella massima Serie. Quest’anno quindi l’obettivo è mantenere la categoria. Se devo guardare più avanti mi piacerebbe nuovamente trasferirmi all’estero. Per la mia carriera è stato un bene tornare in Danimarca. Trovare una certa continuità e mostrare alle persone quello che sono capace di fare. Ma continuo a pensare che giocare e vivere all’estero sia una grande esperienza. Quindi sarei pronto a sperimentarlo ancora”.
Come è arrivato all’Inter nel 2013?
Stavo partecipando a un torneo per Nazionali Under 16 in Italia. Credo si trattasse del 2010. Dovette andare piuttosto bene a livello personale perché venni nominato miglior calciatore della competizione. Allora per la prima volta sentii dell’interesse dell’Inter. Negli anni seguenti gli scout dei nerazzurri vennero a vedermi e io andai a Milano un paio di volte. Alla fine l’ho visto come il perfetto step successivo per me e trovammo l’accordo a partire dal 2013”.
Era molto giovane quando firmò per l’Inter. Quante e quali difficoltà ha trovato in Italia?
“Avevo solo 17 anni quando mi trasferii a Milano, ma allora vivevo già lontano da casa da tre anni. Quindi questa parte non fu strana. Le difficoltà si manifestarono inannzitutto con la lingua. Anche se avevo studiato l’italiano per sei mesi prima di venire da voi, ebbi dei problemi di adattamento. Ma quello più grande fu l’infortunio subito. Successo subito, al primo allenamento con la squadra. Stop di quattro mesi per la distrazione del bicipite femorale. Combinando la non padronanza della lingua e l’infortunio, l’inizio in Italia fu una piccola sfida. Allo stesso tempo ho imparato molto da me stesso. Penso che a volte possa essere positivo vivere momenti difficili per poi superarli. Ti rende ancora più forte”.
Se tornasse indietro nel tempo, cambierebbe quindi ancora Nazione e campionato così giovane?
“Direi che non esiterei ad andare all’estero a quell’età. Anche se incontri delle difficoltà è un grande periodo e una lezione di vita che non puoi imparare in altri modi. Detto questo forse prenderei in considerazione la possibilità di scegliere un Paese con una cultura e una lingua più simili a quella da cui provengo, per non fare, in prospettiva, un passo troppo lungo”.
Quali sono i suoi ricordi con l’Inter Primavera?
“Ne ho di splendidi. Abbiamo giocato grandi partite e siamo stati in posti incredibili. Ma sfortunatamente nella mia mente ci sono anche gli infortuni e lo stare lontano dal campo. Ma come sono solito dire, mi sarei potuto infortunare in ogni parte del mondo. Quindi non incolpo l’Inter o l’Italia per quanto successo”.
Però si è anche allenato con la Prima squadra. Quali giocatori l’hanno aiutata? E chi le è sembrato il più forte?
“Andrea Stramaccioni è ed era un grande mister. Una persona molto educata che coinvolse me, e altri giovani, con i grandi. Fu un grande piacere confrontarsi con loro. Cambiasso ebbe modi molto carini. Prese del tempo per parlarci e per aiutarci. Non ne aveva bisogno, per questo credo dimostri un grande carattere. Poi per me il più forte era Kovacic, senza dubbio: grande tecnica, corsa con la palla al piede e una velocità pazzesca".
Si aspettava di rimanere più tempo a Milano?
“Sarebbe una bugia dire qualsiasi cosa differente al fatto che mi sarebbe piacuto esordire con la Prima squadra. Ma nella mia situazione, con gli infortuni subiti, dovevo essere realista. Sapevo che avrei dovuto trovare una certa continuità di prestazioni per trasformare ciò in realtà”.
Continua ad essere in contatto con qualcuno?
“Sì, continuo a parlare con qualche compagno. Penso che una delle più belle situazioni legate al calcio sia portare persone da ogni parte del mondo a conoscersi”.
La stampa aveva scritto di lei come un “giovane Gerrard”. È stato un bene o le ha creato difficoltà e maggiori aspettative nella sua esperienza a Milano?
“Non ho mai sprecato un minuto pensando alle parole dei media o a quello che le persone pensano di me. Quindi sicuramente tale paragone non ha avuto un impatto. Mi sono sempre focalizzato su me stesso. Certo, sarei potuto essere più fortunato in determinate circostanze, ma non è un qualcosa su cui piangere. L’unica cosa che puoi fare è sfruttare al meglio ciò che hai".
Cosa pensa dell’Inter attuale?
“Li continuo a seguire e mi auguro il meglio per loro. Credo abbiano bisogno di un po’ di continuità e forse di avere lo stesso gruppo di giocatori importanti per del tempo, prima che tornino ai fasti del passato”.
Attualmente un’altra promessa del calcio danese, Jens Odgaard, gioca in Italia. L’Inter lo ha girato al Sassuolo dopo averlo tenuto un anno in Primavera. Quali consigli si sente di dargli?
“Non lo conosco bene, anche se ho sentito che è un grande attaccante. Adesso è in Italia da quasi due anni, quindi spero si sia integrato con la cultura e abbia imparato la vostra lingua. L’Italia è un Paese in cui devi avere molta pazienza ed essere pronto quando arriva la tua possibilità, perché succederà. Ecco, l’essere pazienti e umili per qualche tempo, senza sprecare molti anni, è quanto mi sento di consigliargli”.
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Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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