Gita non doveva essere, gita è stata. Moratti aveva chiesto alla squadra e a Benitez di scendere in campo a Brema con l’obiettivo di vincere, ma anche di onorare la Champions League di cui l’Inter è detentrice. Invece contro il Werder si è vista la ‘solita’ squadra incapace di creare gioco, di confrontarsi con l’avversario e di regalare soddisfazioni. Chiaro, l’allenatore si è trincerato dietro i due alibi inappellabili: la testa ad Abu Dhabi e la qualificazione agli ottavi già in cassaforte. Peccato che ieri ci fosse ancora la possibilità di arrivare primi nel girone A, un risultato che non vale solo a fini statistici. Un professionista esperto come Benitez, che in Champions vanta una grandissima esperienza, sa meglio di chiunque altro cosa significhi evitare al turno a eliminazione diretta una squadra di grande livello, quelle che solitamente tagliano per prime il traguardo della qualificazione nei rispettivi gironi. Per il terzo anno consecutivo, pur iniziando con il piede giusto, dunque, l’Inter arriva seconda e dovrà incrociare le dita con maggiore forza quando verranno effettuati i sorteggi per gli ottavi di finale. Di spauracchi, l’urna, abbonderà sicuramente.
COME NELLE PARTITELLE DEL SABATO - La formazione scesa in campo al Weserstadium non meriterebbe neanche un giudizio per la disorganizzazione cui è stata costretta. In pratica, davanti ai trenta mila di Brema c’erano undici giocatori che sembravano essersi conosciuti solo poche ore prima di indossare casacca e calzoncini. Un po’ come avviene nelle partitelle di calcetto del sabato sera, che nascono da telefonate o messaggini e si sviluppano incontrandosi pochi minuti prima dell’orario di prenotazione, tra strette di mano e presentazioni. Peccato che il contesto non fosse così giocoso e allegro e che la vetrina fosse la più importante (e ricca, l’Uefa paga bene ogni vittoria) d’Europa. Il 4-4-2 proposto da Rafa non ha mai creato nulla di preoccupante alla difesa ballerina del Werder Brema. Sarebbe bastato partire in contropiede con maggiore convinzione per esaltarne i limiti, ma questo non è mai avvenuto. Errori di misura nei passaggi, egoismo degli attaccanti (Pandev ed Eto’o si liberavano del pallone a malincuore) e poca reattività sono gli ingredienti di una prestazione da cancellare al più presto.
PERICOLO SVALUTAZIONE - Parziale giustificazione è l’assenza di molti titolari. In pratica, e in Germania lo sanno bene, dell’Inter scesa in campo a Madrid lo scorso 22 maggio c’erano i soli Zanetti, Eto’o e Pandev. Tre undicesimi appena, che rendono irriconoscibile la squadra campione d’Europa agli occhi del pubblico teutonico. Scelte obbligate, alcune mirate, quelle dell’allenatore spagnolo, che per preservare i convalescenti ha optato per il fondo del barile, pescando giovani e seconde (anche terze) linee fino a quando la panchina gliel’ha consentito. L’aspetto preoccupante è la reazione alla chiamata alle armi: quasi fossero spediti in prima linea come partigiani anti-nazisti, questi giocatori si sono disimpegnati con una passività inconsueta per chi ha poche chance di dire la sua e solitamente non ha spazio per mettersi in mostra. Spiace soprattutto per i ragazzini: Biraghi, Nwankwo e Natalino in particolare verranno associati d’ora in poi a questa brutta figura internazionale, dopo averne collezionata qualcuna in precedenza. Ma anche Biabiany e Santon rischiano seriamente in tal senso. La loro autostima, da questo punto di vista, potrebbe soffrirne e il club, di questo passo, li sta svalutando. Giovani che dovrebbero essere lanciati un po’ per volta, con il contagocce, vengono così spediti in trincea nell’armata Brancaleone, senza la dovuta preparazione e in un contesto di deficit assoluto nel gioco e, di conseguenza, nei risultati.
DOVE SONO I CAMPIONI? - Ma chi dovrebbe dare una mano ai ragazzini è il primo a mettersi da parte. Passi per Cambiasso, costretto a interpretare un ruolo non suo, e per Zanetti, che come al solito fa il possibile fino a quando una botta alla coscia lo mette fuori causa, gli altri non emergono rispetto ai colleghi più inesperti. Eto’o non si vede mai e sembra stia scontando un altro turno di squalifica. Pandev si sbatte ma al di là dei due pali (si faccia benedire…) gli manca lo spunto decisivo e tiene troppo la palla. Thiago Motta predica nel deserto e le poche volte che riesce a salire non trova assistenza dagli immobili Muntari e Santon, anche loro fuori ruolo ma colpevoli di scarso dinamismo. Dietro, Cordoba soffre l’assenza di un collega di reparto di ruolo e a volte va nel pallone. Male tutti, dunque, perché oltre ai limiti tecnico-tattici si è palesata una totale mancanza di personalità nel momento più importante, quasi che già dopo mezz’ora di gioco l’unico desiderio fosse che il fischio finale non tardasse troppo. Che il Werder continuasse ad attaccare e a prendere a pallonate la porta di Orlandoni, era solo un dettaglio inconsistente.
ULTIMA SPIAGGIA - E ora? Difficile far finta di nulla dopo l’ennesima, roboante batosta. Difficile dar troppo credito alle giustificazioni, perché al di là della squadra impiegata al Weserstadium quello che resta è un 3-0 assai poco nobile e Moratti lo sa bene. Il presidente probabilmente sta riflettendo sul da farsi, ma non si esporrà più di tanto per evitare di destabilizzare, alla vigilia del Mondiale per Club, un ambiente già in palese difficoltà. Benitez sostiene che il suo futuro non dipende dall’esito del torneo ad Abu Dhabi, ma un altro fallimento probabilmente gli costerebbe il posto. A tenerlo aggrappato alla panchina sono stati soprattutto due aspetti: le numerose assenze che ne hanno condizionato il lavoro; la vicinanza del Mondiale per Club, prova d’appello senza ritorno che, se superata, potrebbe dare ulteriore credito al tecnico di Madrid. Ma se l’ex Liverpool proseguirà il suo lavoro a Milano, sarà proprio Moratti a doverne assecondare le esigenze in fase di mercato, cosa non avvenuta in estate. Vincere ad Abu Dhabi per avere un futuro all’Inter: Benitez sa bene che questa è la sua ultima spiaggia e un successo potrebbe cambiarne la storia nerazzurra.
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